Politica

Che (devono) fare

Se si guarda, con occhio smaliziato, l’ago del bilancino, quello che ha guidato il completamento della squadra governativa, ci s’accorge che a pesare non sono stati i partiti, ma i gruppi, le correnti, le persone, gli “ambienti”. Peggio, quindi. Ma anche normale: i partiti si sono fatti commissariare, sicché c’è poco da stupirsi per le conseguenze. Ribadisco il giudizio dato fin dall’inizio: quello Monti è un governo di cristallo, fragile ma capace di tagliare le mani a chi dovesse romperlo.

Nell’esaltazione dei “tecnici” c’è tutto il qualunquismo del luogocomunismo, che si crede per benino. Nella soppressione dei politici ci sono molte colpe loro, tanta inadeguatezza della classe dirigente, tanta miseria umana e non secondari pericoli per il futuro. Il quesito è: cosa possono e devono fare le forze politiche, nel mentre il governo si dedica al lavoro di cui già ci siamo occupati? Anche in questo caso, come per il governo, si sovrappongono due livelli: uno interno e uno europeo.

I partiti politici servono a indirizzare e raccogliere il consenso, senza di loro la democrazia sparisce, dopo essere passata per le dolorose convulsioni della demagogia. I partiti grossi (useremo “grandi” quando se lo meriteranno) hanno un ruolo decisivo, perché non rappresentano un singolo interesse, ma già mediano un equilibrio al loro interno. In Italia, oggi, ce ne sono due: il Pdl e il Pd. Attorno a loro si sono coagulate due coalizioni composte da diversi, talora incompatibili, tenute assieme solo dall’avversità agli “altri”. Questa roba è inservibile, tanto che ha portato al loro commissariamento (operato dal Quirinale e dalle pressioni europee, tanto per non alludere senza dire). Posto che il tempo del governo Monti è il tempo del loro fallimento, come possono utilizzarlo?

Prima di tutto finendola di vergognarsi di sé. Piegarsi ad incontri sotterranei e a rapporti riservati con Monti significa rassegnarsi al suicidio, degno approdo dell’inutilità. Devono fare il contrario: incontrarsi alla luce del sole e isolare quei pochi provvedimenti che sono urgenti e nel comune interesse, prima fra tutte la riforma del sistema elettorale. Certo, ci vorrebbe una riforma costituzionale, seria e profonda. Ma non è aria. Prima devono salvarsi. Pier Luigi Bersani ha detto che si deve fare una legge che salvi il bipolarismo, ed è un buon punto di partenza. Dunque le caratteristiche sono queste: a. una legge maggioritaria; b. che avvantaggi i partiti e non le coalizioni; c. che sappia tagliare le ali. Esatto: qualcuno deve restare fuori dal Parlamento. Succede in Francia, in Germania e in Inghilterra. L’idea che il Parlamento debba per forza rappresentare tutti è una bischerata antidemocratica.

Da qui, poi, si possono muovere dei passi per affrontare un male genetico della nostra democrazia: la paura delle maggioranze. Ma dopo, prima quella legge. Se il Pdl e il Pd dovessero recalcitrare, immaginando di potere salvare le coalizioni di ieri, propizieranno una legislatura, la prossima, popolata da matti, sobillatori e sabotatori. Per evitarlo occorre metterci la faccia. Subito, perché il tempo è poco e già corre via. A destra e a sinistra ci sarà chi lo rifiuterà. Salutiamoli e amen.

Poi c’è un piano europeo. Le forze politiche della prima Repubblica non avevano una gran proiezione continentale, ma erano figlie del Risorgimento, quelle odierne sono vernacolari e figlie di … nessuno. Nel dopoguerra si coltivò il sogno di un’Europa costruita con mattoni economici, capace poi di portare all’integrazione politica. E’ divenuto un incubo. Se non vogliamo fare un salto indietro se ne deve fare uno in avanti, il che comporta forme di democrazia continentale e forze politiche multilingua. Si può fare, ma le case del Partito Popolare e del Partito Socialista sono inadeguate, quella liberale è un casino. Buone per accogliere gli adepti nazionali, non buone a costruire programmi reali. Serve che ciascuno si apra allo scambio di idee e uomini, il che comporta una sinistra che ripudi il comunismo (ci vuole, non è roba passata) e una destra che non dipenda da un uomo solo. Un Erasmus politico.

Sento dire che, come per le stagioni, non ci sono più le classi dirigenti di una volta. È vero. Il fatto è che il calendario ci ha allontanati dalla seconda guerra mondiale e il welfare state (che non possiamo più permetterci) ci ha abituati a eleggere dispensatori di piaceri. Però abbiamo delegato la moneta senza integrare le economie e le scelte politiche senza accompagnarle con la democrazia. Ora, nel disastro di quel mondo, si forgeranno nuovi soggetti. I nostri decidano: se non sono all’altezza meglio sbarazzarsene subito.

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