Politica

Che Italia è?

Che Italia è, quella che riprende la navigazione dopo essersi scannata nella baia delle regionali? Politicamente è uguale a se stessa, da quindici anni, con l’intero dibattito che ruota attorno a Silvio Berlusconi, con la sinistra ipnotizzata e, al tempo stesso, indemoniata dall’idea che si possa vincerlo senza batterlo elettoralmente, con alcuni volontari che, a turno, cercano di fargli le scarpe nel suo stesso schieramento, soccombendo uno appresso all’altro. Istituzionalmente peggiora, perché interi apparati dello Stato sono vicini al coma celebrale, mentre i giornali, per piaggeria o supposta furbizia, tendono a spandere incenso attorno al deragliamento che travolge gi equilibri costituzionali. Economicamente ha il fiatone, ha smesso di correre e ancora avanza a sobbalzi, piegandosi sul fianco e tenendosi la milza. Ha la stoffa di un gran corridore, ma acciaccato. Socialmente può essere letta in modi diversi, perché i numeri dell’economia dimostrano che le cose non vanno poi così male, ma l’umore complessivo è malmostoso, segnalando un Paese meno propenso alla grandiosità e alla generosità, più aggredito da invidia, accidia e rosiconeria. In questa situazione Berlusconi ha messo in atto il suo capolavoro elettorale.

Sa leggere e interpretare l’Italia meglio di chiunque altro, e per negarlo si deve essere non di parte o avversari, ma direttamente stupidi. Chi crede che sia lui a modellare quest’Italia s’illude, perché spera che mettendolo a tacere (è una parola!) le cose cambino. No, in quel caso si perderebbe il migliore interprete, non cambierebbe la realtà. Il capolavoro delle regionali dovrebbe essere studiato, Sarkozy dovrebbe passarci sopra le vacanze, perché usa le parole altrui a proprio vantaggio. La sinistra attacca perché ritiene illiberale chiudere le trasmissioni politiche della Rai? Lui non risponde negando, ma affermando che quei conduttori politicizzati dovrebbero tacere sempre. Lo attaccano sul piano giudiziario? Lui tralascia la sostanza e accusa i magistrati. Lo crocifiggono con le intercettazioni? E lui chiede agli italiani se si sentono tranquilli, quando parlano al telefono. Il tutto a uso e consumo di quella fetta d’italiani che seguono la politica e il dibattito pubblico. Non la maggioranza.

Agli altri, come anche a loro, Berlusconi offre una visione della vita, un sorriso che non sfiorisce mai, un’indomita reazione ad ogni avversità. Parla del futuro come di un sogno e testimonia con se stesso che volere è potere. Questo genere di comunicazione sconvolge le percezioni correnti e ribalta i risultati immaginari. Ma, cosa che conta ancora di più, questo genere di chiamata al voto prescinde completamente da chi sono i candidati. Molti credono di sapere che Caligola nominò un cavallo senatore, ma non è così. Egli disprezzava il senato di Roma, e affermò che se avesse decretato la presenza di un equino quello sarebbe stato il più astuto fra i colleghi. Noi siamo andati oltre, perché potremmo benissimo eleggerlo. E potremmo farlo perché non si vota per Tizio o per Caio, ma pro o contro Silvio. E non importa un fico secco che ci siano o meno le preferenze, perché tanto si ragiona in quel modo anche quando sulla scheda c’è scritto il nome del candidato governatore e si può scegliere chi mandare in consiglio regionale. Con gran gioia di chi campa d’antiberlusconismo, succhiando il sangue a quella che dovrebbe essere l’opposizione.

Un capolavoro, lo ripeto. Ma osservate due fenomeni, ora che son freschi, e non dimenticatevene. Il primo riguarda la Lega: non solo è il più vecchio partito sulla scena (ci sarà da ridere, l’anno prossimo, quando ricorderemo i 150 anni dall’unità e non sapremo spiegare dove sono finite le famiglie politiche che la fecero), ma è anche il più strutturato. Ha una classe dirigente, ha dei giovani bravi, molto bravi. C’è più selezione e qualità politica da quelle parti che nella sinistra spocchiosa e chiusa. Il limite sta nella copertura territoriale. Se qualcuno si mette a imitare il fenomeno, nell’altra parte d’Italia, l’unità ce la giochiamo, giusto in tempo per la ricorrenza. Il secondo fenomeno è il bipolarismo: prende piede, fra gli elettori, ma, in realtà, come ha osservato Luca Ricolfi, i due grandi partiti si dividono la metà dei voti disponibili. Due indicazioni contraddittorie, che dimostrano la fragilità della costruzione. Cui deve aggiungersi l’aumento della renitenza al voto, che non è un allineamento alle medie europee, ma un ultimo segnale di disagio, dopo il quale c’è il rifiuto.

Messi insieme questi elementi, ci si rende conto che il tempo dell’intero sistema non è infinito, e neanche lungo. O si mette mano alle riforme, subito, per cambiare spartito, o le cacofonie diventeranno assordanti.

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