Politica

Chiudere l’agonia

Non lasciatevi distrarre dai personalismi. Lo scontro in atto ha radici che superano le questioni caratteriali. La politica sa essere miserabile, nel mettere in scena le ambizioni e lo sgomitare scomposto degli aspiranti, ma le forze che la muovono si misurano con una scala diversa. Come si fa, poi, a credere che sia una questione personale, visto che si ripete in continuazione? La legislatura cominciata nel 1994 vide Umberto Bossi lasciare l’alleanza con Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini; quella cominciata nel 1996 vide Fausto Bertinotti abbandonare Romano Prodi; quella del 2001 fu la lunga stagione della fronda Udc, con Pier Ferdinando Casini presidente della Camera (guarda caso), e il suo secondo, Marco Follini, prima vice presidente del Consiglio e immediatamente dopo candidato nelle liste dell’opposizione; quella del 2006 si consumò subito, con Prodi che proclamò una falsa vittoria e fu poi abbattuto dalla sua non maggioranza; quella iniziata nel 2008 la stiamo vivendo, e ora tocca a Fini dissentire dall’alleanza fra Berlusconi e Bossi. Come si vede, non è un problema di bronci e puntigli.

Le ragioni di tali fenomeni possono riassumersi in due ambiti, uno istituzionale e l’altro personale. Dal punto di vista istituzionale la seconda Repubblica non è mai nata, ma stiamo ancora vivendo la lunga agonia della prima. Il bipolarismo è tanto proclamato quanto inesistente, riducendosi, nei fatti, ad una divisione elettorale fra chi sta con Berlusconi e chi contro. Roba non molto raffinata. Il maggioritario, praticato nelle diverse formule, è incompleto e senza riscontro nell’impalcatura costituzionale, finendo con il somigliare ad un busto strappato, nel quale si tenta d’ingabbiare una corpulenta matrona, con il risultato che le cicce fuoriescono da ogni dove. Quando si vota si proclama un vincitore che, però, non riuscirà veramente a governare sia perché la nostra Costituzione è concepita apposta per arginare e ridurre il potere delle maggioranze, sia perché ha, nel suo seno, l’opposizione che lo abbatterà.

Dal punto di vista personale, la seconda Repubblica manca di classe dirigente, perché la scena è ancora occupata dalle terze file della prima, come da quanti non vi contavano nulla, per insipienza e irrilevanza politica. Si tratta, nell’insieme, di miracolati, che si sono convinti d’essere leaders politici. Non a caso l’unico gruppo che non solo cresce, ma anche si consolida, è quello della Lega, del tutto estraneo all’origine appena descritta. A ciò si è potuti giungere sia perché la politica s’è chiusa, divenendo essa stessa corporazione, premiando la canina fedeltà e alimentandola con ingiustificabili e detestati (dai cittadini) privilegi, sia perché la società tutta s’è culturalmente e moralmente impoverita. Non solo in politica, insomma, sembra che il premio spetti agli inutili, agli amorfi e agli smidollati, a patto che siano anche degli estremisti. Deficienti integrali, insomma.

Come è possibile, allora, che un sistema così vuoto non crolli? Regge, finché regge, perché l’Italia è ricca. E perché Berlusconi è stato capace di dare un’interpretazione originale dei tempi e della situazione, offrendo a tutti, e principalmente agli avversari, una ragione per continuare a esistere. Credo noi si abbia ancora molte forze, da mettere in gioco, ma ce le giochiamo, se non si esce da questo stagnare di furibonda inconcludenza.

Gianfranco Fini ha delle ragioni, dalla sua parte. Anche nei sistemi presidenziali, anche in quelli spiccatamente leaderistici, la politica è il frutto del sommarsi d’idee e sensibilità diverse. La ricerca culturalmente libera, come anche l’iniziativa politica indipendente (ma coerente), devono essere viste come un bene, non come un fastidio. Una forza politica non può non avere sedi di collegialità e discussione. Ma ha accumulato anche torti non indifferenti. Non puoi passare mesi a far solo il controcanto, non puoi pensare di differenziarti su tutto, non puoi concentrarti nella gara a una successione che non c’è e non ci sarà, non puoi pensare di spingere il trasformismo al punto di smentire te stesso su quasi tutto, indossando i panni dell’opposto. Essersi accorto che Mussolini non era il più grande statista del secolo e che le leggi razziali furono un’infamia vergognosa è cosa buona e giusta, ma continuare a cercare di scandalizzare i radicali per eccesso di disinvoltura libertaria rischia di buttare tutto in farsa.

Lo scontro fra Berlusconi e Fini terrà banco ancora per un po’, ma è meno interessante e rilevante di quel che appare. Il tema vero è: porre fine all’agonia e restituire effettività ai ruoli e poteri istituzionali. Non sembra vi sia la consapevolezza di questa necessità, e il cielo non voglia che, in queste condizioni, i morsi della crisi rivelino a troppi che la nostra ricchezza non è un diritto acquisito nascendo nella parte giusta del mondo, ma un risultato conquistato con il rischio, il lavoro e il buon governo.

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