Politica

Colle scalato

Matteo Renzi non s’è ancora rotto l’osso del collo, ma ha già battuto l’asso del Colle. Il governo dei ragazzi della terza C dimostra che in molti banchi non si sa neanche di che parli il tema e a che punto si è arrivati con la storia, ma chi li guida è riuscito a declassare il più coriaceo e lievitato potere della seconda Repubblica: il presidente della Repubblica. Dicono i bene informati che Giorgio Napolitano stia meditando circa le dimissioni, dando compimento all’intento manifestato fin dal giorno della sua rielezione. Ma in un contesto ben diverso: non uscirebbe perché portato a termine il lavoro, ma perché sconfitto.

La vicenda della legge di stabilità è esemplare. Un tempo il governo avrebbe dovuto fare i conti principalmente con l’uomo del Colle e il suo occhiuto ufficio legislativo. La trattativa vera si sarebbe svolta al Quirinale. Colà sarebbero state apportate le modifiche, cui si sarebbe subordinata la firma presidenziale. Non è quel che è scritto nella Costituzione, ma è quello cui si era giunti. Ora la legge di stabilità gli arriva non solo (e non tanto) senza “bollinatura” della Ragioneria generale dello Stato, ma dopo giorni dalla consegna alla Commissione europea. Non solo: una lettera insidiosa della Commissione giunge al governo dopo che la Ragioneria ha già imposto modifiche, specie sulle coperture e le clausole di salvaguardia, che in parte ne superano il contenuto, mentre Napolitano non può fare altro che apporre il presidenziale sigillo. Con le spalle al muro, perché ogni altra condotta affonderebbe la credibilità dell’Italia. All’arbitro di un tempo tocca fare il raccattapalle. Ieri ha detto che l’Europa deve imboccare la strada della crescita. Pensiero profondo, forse troppo. Ha aggiunto: “sarò tutore delle regole che siano veramente tali e non paraventi a difesa dell’esistente”. Una resa logica: le regole o sono regole o non lo sono e se lo sono non è che si possa definirle paraventi. L’orientamento vacilla.

Ricordate la fine della scorsa legislatura? Era il Colle a riunire i saggi e disegnare la nuova Costituzione. Ricordate l’inizio di questa? Bersani nel caos e il Colle che inventa Enrico Letta. Un presidente del presidente, per un governo anche quello del presidente. Poi Silvio Berlusconi scarta e il ragazzaccio tosco butta giù tutto. Napolitano gli da l’incarico, non potendo fare altro, ma s’avverte un clima ostile. E ricordate la lista dei ministri? Ore di tira e molla, con il Quirinale che la spunta ovunque abbia voluto spuntarla. Poi, però, il governo parte. Renzi rompe tutti gli schemi. Predispone due maggioranze: una di governo, l’altra per le riforme. Al momento non si son visti né il governo né le riforme, ma lui corre, annuncia, minaccia, rompe e irrompe. Dal Colle non riescono a stargli dietro. Provano a monitare all’antica, ma non fermano i decreti salsiccia e le leggi illeggibili o le fiducie a raffica, neanche ci provano più. Si ritrovano a dargli una mano, fingendo di star perseguendo un disegno. Neanche conquistano più l’attenzione della stampa e del pubblico. Finiscono in cronaca e nei pastoni, segno che son finiti. Di Renzi non hanno capito il succo: se non lo contrasti con i suoi toni ti sguscia via.

Fin dalle prime settimane vedemmo che la corsa di Renzi aveva un senso se proiettata verso elezioni ravvicinate. Fin da subito il Quirinale fece sapere che non era disponibile, piuttosto Napolitano si sarebbe dimesso. Guardate la scena ora: se proprio vuol dimettersi eleggeranno un successore (meglio se donna, meglio se senza potere), indicato da Renzi e votato anche da Berlusconi; se invece resta non può certo escludere di sciogliere anticipatamente la legislatura, che se dura è sol perché chi vuol chiuderla ha paura di non essere più manco candidato. Se cade, vince le elezioni. Se dura, fa quello che gli pare. Ancora una volta: il Colle ha le spalle al muro.

Può uscirne? Certo, puntando sullo sfascio. Adeguandosi al costume che vede nel nemico esterno il migliore alleato contro il nemico interno. Può permetterselo? Non credo. Sarebbe una follia. Nel vuoto politico, con le sole opposizioni esistenti impegnate a dire cose per le quali mai potranno andare al governo, il Quirinale di Napolitano ha completato il ciclo di espansione, come una gigante rossa, ma è precipitato a velocità siderale sotto il peso della propria gravità. L’altra gravità, quella dei problemi italiani, resta intatta. In attesa che qualcuno se ne occupi.

Pubblicato da Libero

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