Giorgio Napolitano si è già dimesso. Manca l’atto formale, ma ha comunicato al Paese la sua imminenza, il che già menoma i poteri del Colle. Farebbe bene a non lasciare che il tempo passi. Neanche poco. Tanto più che non vi è alcun impegno internazionale da rispettare. Non solo la nostra non è una Repubblica presidenziale, sicché di quegli impedimenti non ce n’erano neanche prima, ma l’appuntamento del 13 gennaio, quando il presidente del Consiglio riferirà al Parlamento europeo sul semestre italiano di presidenza Ue, è un atto meramente formale. Che non chiude affatto il semestre, già chiusosi con la fine dell’anno.
Rivolgendosi agli italiani, per i rituali auguri, Napolitano ha provato a sostenere che le richieste da lui fatte, circa le riforme istituzionali, sono state esaudite. Capisco la sua posizione e l’imbarazzo, ma la realtà è assai diversa. Era giunto sconfitto alla fine del settennato, con un bilancio negativo sia sul terreno istituzionale che su quello politico (quello economico, peggiore, non dipende da lui). La rielezione, frutto dell’errore politico commesso da Pierluigi Bersani, gli aveva dato nuova forza. Il discorso di reinvestitura era stato un inconsueto atto di coraggio, capace di sferzare una plaudente platea parlamentare. Ma subito dopo il Quirinale è tornato a girare a vuoto, tenuto anche presente che il governo colà creato, quello di Enrico Letta, è stato demolito dal segretario del Partito democratico, di cui il presidente del Consiglio era vice. Ora Napolitano dice: le riforme sono state avviate, come avevo chiesto. No, perché la riforma del sistema elettorale, che era urgente e necessaria nel novembre del 2011, è ancora di là da venire. Il resto passa in cavalleria. Napolitano è troppo vecchio del mestiere per non sapere che le approvazioni parziali lasciano il tempo che trovano.
Sono fra quanti (pochi) non hanno fatto mancare critiche puntute, all’opera di Napolitano. Sempre rispettose, ma non per questo meno severe. Considero, però, corretti i tempi in cui ha annunciato le dimissioni. Per questo deve formalizzarle, subito. E il tempo delle dimissioni si lega al tema delle mancate riforme: Napolitano non intende sciogliere anticipatamente le Camere anche perché, appunto, manca la riforma del sistema elettorale, ma non può inchiodare tutti a questa sua posizione, per giunta spogliando la presidenza di una prerogativa costituzionale, quindi ha fatto bene ad annunciare per tempo la dipartita. Ciò comporta la sua lesta formalizzazione, perché il successore non sia privato di quel potere, della possibilità di usarlo subito, e, semmai, di farlo valere per spingere la riforma fin qui mancata.
E non è il solo fronte di sconfitta. Dopo anni di moniti sull’invadenza politica di alcune procure, il presidente della Repubblica s’è ritrovato a strizzare l’occhio all’antipolitica, citando anche le formule immaginifiche che emergono dalle intercettazioni telefoniche diffuse (il “mondo di mezzo”). Dettaglio: si tratta di indagini in corso. Da lui tirate in ballo per dire che la politica deve cambiare. Capite? La politica deve tenere conto delle indagini e delle reazioni che innescano. Una capitolazione. Tanto più che l’onda dell’indignazione collettiva andava domata e usata per approvare le riforme, non surfata per galleggiare. Mentre la riforma della giustizia non è neanche all’orizzonte.
Le parole di Napolitano, comunque, chiudono la sua presidenza. Le dimissioni formali non tardino, non si allarghi anche questo vuoto.
Pubblicato da Libero