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ColleArmato

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La vita istituzionale non è forma, ma sostanza e l’iniziativa presa ieri dal Quirinale è pregna di sostanza politica. Il Consiglio supremo della difesa è un organismo di rilievo costituzionale (articolo 87), presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte diversi ministri, naturalmente il presidente del Consiglio, e il Capo di stato maggiore della difesa. Il suo compito è quello di sovrintendere alle politiche difensive dall’Italia, naturalmente con riferimento alle crisi internazionali che possono creare problemi alla nostra sicurezza.

Il Presidente Sergio Mattarella era reduce dalla rilevante missione compiuta in Germania, ove ha preso la parola davanti al Parlamento e sottolineato sia l’importanza del diritto internazionale che la criminalità delle aggressioni militari dirette alla popolazione civile. Si faccia attenzione: la seconda cosa ha rilievo reale solo se si tiene ferma la prima, perché se viene meno la fiducia nel diritto internazionale e nelle sue Corti poi resta soltanto il diritto della forza, quindi la guerra. In coerenza con questa affermazione e ribadendo la natura criminale dell’aggressione russa all’Ucraina è stato convocato il Consiglio supremo della difesa, il che riporta al duplice interesse italiano: a. per il sostegno a chi è stato aggredito; b. per il contenimento di un’aggressione che già fornisce prove di minaccia a noi dirette. Se in Ucraina è in corso una guerra in armi sui nostri cieli e nelle nostre reti è in corso una guerra ibrida che fa meno rumore, ma comporta rischi altissimi.

Rispetto a questo scenario la risposta italiana è politicamente netta e fattualmente incerta. La presidente del Consiglio ripete che noi siamo al fianco dell’Ucraina – e non è poco -, ma il nostro contributo reale al sostegno di quel fronte è ancora al di sotto di quel che dovrebbe e di quel che altre democrazie europee stanno facendo. L’Italia è ancora fuori, per dirne una, dall’accordo Nato per il comune contributo all’armare gli ucraini, è fuori da quel Purl (Prioritized ukraine requirements list).

Ci sono due ordini di difficoltà. La prima è relativa al fatto che sia nella maggioranza che nell’opposizione sono presenti forze che si dicono pacifiste e sono (come i pacifisti del secolo scorso) funzionali alle posizioni di Putin. Ovvero del criminale aggressore. A tal proposito è bene sottolineare che quella della corruzione a Kyiv è solo una scusa, perché quei fatti emergono grazie al processo di adesione all’Unione europea, cui quelle stesse forze si oppongono. Queste divisioni non possono essere utilizzate come alibi per l’inerzia, perché il superiore interesse dell’Italia non consiste nel mantenere incollati i cocci di coalizioni con due politiche estere, ma di far prevalere la sola politica estera che ha garantito pace, sicurezza e prosperità alla Repubblica.

La seconda difficoltà consiste nel far fronte alle propagande corrive con il disegno putiniano, secondo cui armare ancora gli ucraini allunga la guerra, ci espone a dei rischi e ci impoverisce. È vero il contrario: ci consente di tenere lontano il fronte affidato alle armi, impedisce che un crollo ucraino spiani la strada all’estendersi e non all’estinguersi del conflitto, il che ci costa infinitamente meno di quel che costerebbe tale terrificante ipotesi.

Il tutto ha un senso solo se si lavora concretamente alla difesa europea, essendo quella l’unica sovranità possibile (come quella atlantica fu la sola quando i sovietici schierarono i missili nucleari contro di noi) a fronte dell’imperialismo espansionista e criminale di Mosca. Il che comporta l’affrontare un altro problema, ovvero quello di un europeismo governativo affermato nel negoziare e negato a parole.

Il Quirinale ha messo ieri le forze politiche nelle condizioni di poterlo spiegare all’opinione pubblica, schierandosi a testa alta a difesa dei nostri e non degli altrui interessi. Meglio un Colle armato che la disarmante fuga dalle responsabilità.

Davide Giacalone, La Ragione 18 novembre 2025

 

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