Accettare compromessi è normale, lo facciamo ogni giorno. Non accettarne per non compromettersi non è un atto di forza, ma di viltà. È l’opposto della politica, che è anche arte del compromesso. Non praticarla compromette gli interessi che si dice di volere difendere.
Vediamo un paio di esempi istruttivi, approfittando del fatto che si trovano lontano (ma neanche tanto) da noi. I repubblicani hanno la maggioranza al Congresso statunitense, l’amministrazione è democratica e, pertanto, loro sono l’opposizione. Opporsi significa far valere le proprie posizioni e gli interessi che si rappresentano, ma non significa demolire la Casa Bianca e il suo inquilino pro tempore. Perché un sistema democratico funzioni è bene che esistano forze politiche diverse e alternative, ma che abbiano in comune il riconoscersi nel sistema istituzionale. Difatti, in occasione della discussione sul bilancio, lo speaker – ovvero il presidente e leader – repubblicano negozia un compromesso: rinvio della scadenza, per evitare il blocco della spesa, ed esclusione dal computo (non negazione, come è stato falsamente raccontato) dei contributi all’Ucraina. Il Congresso vota e approva a larghissima maggioranza. Poi, però, un drappello di estremisti repubblicani rimprovera allo speaker il compromesso e chiede di sfiduciarlo. Paradossalmente i democratici votano la sfiducia, perché lo speaker è repubblicano. Così i repubblicani si ritrovano spaccati, perdono il presidente d’Aula e i democratici un interlocutore. Autolesionismo bipartisan.
In Spagna i popolari vincono le elezioni, nel senso che prendono più voti degli altri. Non abbastanza, però, per governare da soli. I socialisti prendono più voti della volta scorsa, quindi vincono anche loro, ma meno dei popolari, quindi perdono. Il primo incarico per formare il governo va al capo dei popolari, che s’incaponisce in un’alleanza con gli estremisti di destra, perdendo sia il governo che la guida del suo partito. Ora ci prova il capo dei socialisti, governante uscente, che per costruire una maggioranza deve vedersela con gli indipendentisti catalani. Cioè i due partiti più votati si compromettono con estremisti pur di non provare un compromesso che, del resto, al Parlamento europeo li vede già assieme. Non ragionevole.
Questo capita quando le culture politiche vengono sostituite dalle identità faziose, quando anziché cercare il favore degli elettori si cerca di non perdere quello delle tifoserie. E si combinano guai.
Veniamo in Italia. Ci si affanna a dire che i numeri economici immaginati dal governo sono prudenti, che è pure vero ma significa poco. Quei numeri sono la massima prudenza praticabile nel tenere unita una maggioranza divaricante, ma sono debolissimi. Se nella prossima trimestrale l’andamento del Pil fosse – com’è più che possibile – non esaltante, perderebbe significato la previsione di crescita 2024 al +1,2%, il che porterebbe a un rialzo del peso percentuale di deficit e debito. In uno scenario del genere mettere le mani avanti cominciando a dire che è colpa della Bce o dei tedeschi o di chi rema contro o di chi è di turno è come mettersi le mani nei capelli, non sapendo dove altro metterle. Non siamo affatto alla catastrofe, ma sarebbe catastrofico continuare soltanto ad aizzare le tifoserie.
La concorrenza interna al governo ha taluni tratti grotteschi, ma le fughe dalla realtà nell’opposizione hanno tratti patetici. Non ha alcun senso dire che ci si “batterà con forza” per ottenere più soldi da mettere qua o là, perché significa non sapere fare i conti con la realtà. E alla fine – come è capitato negli Usa e come sta accadendo in Spagna, come accade in Italia da quando si finge di votare per i governi – si finisce con il mettersi nelle mani degli estremisti. Che non sono i più coerenti, ma soltanto i più incoscienti.
I compromessi ragionevoli sono la responsabilità di chi vuole e sa difendere gli interessi collettivi. Chi non sa farlo li compromette, cercando un colpevole anziché una soluzione.
Davide Giacalone, La Ragione 5 ottorbe 2023