Politica

Con il surf sullo tsunami

Le ondate giudiziarie non hanno mai smesso di martellare la darsena berlusconiana. Il loro spingersi fino alla parte più riparata del suo bacino politico e imprenditoriale ha avuto momenti insidiosi e altri grotteschi. Lo schiumare della loro forza confondeva il rumore del diritto con quello della protervia, il pretendere giustizia con la voglia matta di giustizziare l’accusato. La furia del mare ha da tempo travolto l’idea che la giustizia sia uguale per tutti, sia in chi accusa  che in chi difende. Siamo alla tempesta. Si prevede l’arrivo dello tsunami. Ed è su quelle montagne d’acqua che l’accusato fa il surf. Se non si pretendesse, ancora una volta, con cieca rabbia e rara violenza, di cancellare Berlusconi per via giudiziaria, la sua capacità di sopravvivere politicamente sarebbe ridotta al lumicino. Invece è ancora lì in cima, sulla tavola, sempre a rischio di rompersi l’osso del collo, ma sempre spinto dall’incapacità politica e dalla pochezza culturale dei suoi avversari. Mettiamola così: gli amici, scelti male, gli portano guai, ma i nemici soccorso.

La consapevolezza che chi governa non sa tenere a bada gli istinti primordiali può aumentare il consenso presso elettrici insoddisfatte ed elettori irsuti, con un irrisolto problema edipico, ma genera sfiducia negli altri. I più. Non per moralismo, ma perché se sai d’essere intercettato e continui a dire frescacce è segno che i freni si sono rotti. Ma 100.000 intercettazioni telefoniche per stabilire chi e perché gli porta l’harem, due procure che si contendono a morsi questo succoso brano di carne, come se non esistesse più manco la camorra, sono la perfetta incarnazione dell’incubo pangiustizialista, ottimo per spaventare chiunque, perfetto per stabilire che piuttosto che finire in quelle zampe qualsiasi altra mano è comunque migliore. L’onda di paura che questa malagiustizia impazzita genera è la stessa sulla quale la vittima designata fa le piroette e si presenta davanti agli elettori: preferite me o loro? E che diamine, meglio il giocondo fimminaro.

Ciò provoca un singolare fenomeno: il gradimento del governo crolla verso il basso, ma quello dell’opposizione precipita con ancor maggiore velocità. Della serie: se guardo il governo mi sento male, ma se guardo chi dovrebbe sostituirlo mi viene la nostalgia. Ho visto un sondaggio che dà il gradimento del governo al 20% e quello dell’opposizione al 17. Siccome non sempre si è disposti a scegliere fra due mali, ecco che il numero d’indecisi e non votanti cresce fino alle stelle: 40%. I sondaggi non sono oracoli, ma è quello che si percepisce, ed è quello che Giovanni Spadolini chiamava il “voto non voto”. Solo che a quei tempi era il segnale di un forte disagio, ora raccoglie la maggioranza relativa.

Incapaci di fare politica, di avere idee, di costruire consenso, abituate prevalentemente a far cassa e la morale agli altri (la propria non la conoscono) le presunte élites italiane hanno già immaginato la via d’uscita: il governo dei migliori. Ma migliori di che? In realtà stanno pensando ad un governo non votato da nessuno, supponendo che la difesa della democrazia, formale e sostanziale, sia una specie di perversione populista. Dimenticano un dettaglio: Berlusconi ha avuto la forza e la sfrontatezza di surfare su quelle onde, i supposti migliori ne sarebbero travolti, perché la legittimità della loro ascesa sarebbe la stessa di una giunta militare. Da noi, anziché la divisa potrebbero vestire la toga. E’ già successo, a Napoli, con il giustizialismo che produce il moto plebeo. E finisce male, ma di brutto. (A proposito: sono favorevole alla privatizzazione della Rai, lo scrivo da anni, cancellando per sempre il canone, ma quando il direttore di una testata fa un editoriale, che senso ha correre a dire “sono opinioni sue”? e di chi altri dovrebbero essere? Solo i velinari nell’animo e nella carriera possono avere dei dubbi).

Eppure i problemi ci sono e la situazione è insostenibile. Vero. Noi lo abbiamo scritto per tempo. Noi, qui, abbiamo visto la fine del governo un anno dopo la sua nascita. Ma l’opposizione politica non è stata capace di niente, se non di provare a cavalcare l’estremismo conservatore e il corporativismo reazionario. Ecco perché oggi precipita più di chi governa. E siccome le cose si mettono male, mi preme ribadire il principio imprescindibile secondo cui gli avversari politici si battono politicamente, dimostrando i loro torti (anche nello stile di vita) e chiedendone l’allontanamento agli elettori. Non esistono scorciatoie, e quelle che esistono sono ributtanti.

Condividi questo articolo