Politica

Condizioni per l’elmetto

I proclami per l’amore fra i popoli non sono solo poesie al vento, ma prose capaci d’innescare le guerre. Siccome, riguardo alla Libia, siamo alle premesse di un possibile intervento militare, sarà bene porsi subito il problema del durante e del dopo. Tacere per amor di concordia significa propiziare la peggiore discordia. Siccome far valere i propri interessi, in politica estera, è non solo legittimo, ma anche prudente e salutare, quattro mi sembrano i paletti che l’Italia dovrebbe piantare.

1. Cinque potenze europee (Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito) hanno firmato, con gli Stati Uniti, un appello “a tutte le fazioni libiche che desiderano un Paese unificato e in pace”, sollecitandole a unirsi nel far guerra allo Stato islamico (Is). Meglio chiarire che già in queste parole c’è l’appoggio non a una improbabile unità politica dei libici, ma a quelle componenti che vorranno far la guerra al comune nemico. Le altre saranno combattute. Non può essere diversamente, ma meglio che sia chiaro fin da subito: si tratta di una guerra. Ebbene, l’ultima volta che la si è fatta, intervenendo dall’esterno, nel 2011, è stato un atto di prosopopea egoista dei francesi, di superficialità americana e di cinismo inglese. E fu un atto ostile verso gli interessi italiani, cui l’Italia si piegò perché il fronte interno di quanti crebbero detestando l’Occidente issò la bandiera dell’occidentalismo. Chi qui scrive era ed è un cultore dell’Alleanza atlantica, ma quello fu un passaggio orribile, che ci da il diritto ad alzare la voce.

2. Per rendere legittima una guerra folle fu usata la fuffa delle “primavere arabe”. Gheddafi ne sarebbe stato il sanguinario repressore. Oggi l’area ha trovato un punto di equilibrio grazie al fatto che l’Egitto è nelle mani del generale Al Sisi, che lo ha sottratto alla primaverile fratellanza musulmana. Si spera che la lezione sia stata appresa. Né si può sostenere che basti schierarsi contro l’Is perché tutto diventi accettabile. Non lo è per la Siria, che combatte contro i tagliagole, ma fornisce appoggi logistici e non solo a chi vuol cancellare Israele. Non lo è per la Turchia, che dopo avere favorito l’Is ora gli dichiara guerra, ma va a bombardare i curdi, ovvero i combattenti che più si sono distinti contro le bandiere nere. Dunque: si vada pure in Libia, ma per tenerla sul fronte che oggi concilia l’ostilità all’Is con la pace e la sicurezza di Israele. Nulla in meno.

3. Nel 2011 sono stati colpiti i nostri interessi petroliferi, a vantaggio delle compagnie inglesi e francesi. Ora si va in guerra se fra le condizioni della stessa c’è la sicurezza dei pozzi dove lavora l’Eni, la piena operatività delle condotte sottomarine che portano materie prime energetiche in Italia, nonché la partecipazione alla ricostruzione economica del Paese. Partecipare a una guerra costa. Non solo soldi. Se il risultato è la pace, tanto meglio. Ma escluso che si possa fare eternamente la guerra, per puntare alla pace totale, le armi entrano in campo dove ci sono interessi politici ed economici. Negarli o tacerli è ipocrisia, buona solo a lisciare il peso delle retoriche arcobaleniche, salvo poi innescare gravi danni successivi. Con Gheddafi era stato raggiunto un equilibrio, fatto di pagliacciate, ma anche di scambi reali. E’ stato ammazzato quando aveva cessato d’essere un finanziatore del terrorismo, aprendo la Libia ai terroristi. Se ci tocca rimediare ci tocca anche il resto.

4. Con Gheddafi c’era un controllo delle coste. Si è passati da 4.000 imbarcati a 170.000. Spedirceli in tale quantità è un atto di guerra, conseguente a una guerra sbagliata. Noi li salviamo tutti, tanto da meritare il Nobel per la pace. Accoglierli tutti non è escluso solo da ragioni economiche e di spazio, ma perché farlo innescherebbe una bomba umanitaria pazzesca. Poi hai voglia a pregare, senza rimediare. Se si va in Libia deve essere anche per impiantare lì la zona extraterritoriale di cui abbiamo bisogno, in modo da bloccare tutti gli imbarchi, selezionare i profughi e accoglierli, destinandoli alla meta finale e respingere i clandestini, senza per questo doverli preventivamente salvare. Grande risultato di pace e umanità, che comporta la decisione dell’Unione europea di usare quella zona per il bene comune, amministrandola direttamente.

Se queste cose sono chiare, si può anche calcare l’elmetto. Altrimenti che prevalga pure il pacifismo, tanto apprezzato dai boia dell’Is.

Pubblicato da Libero

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