La contesa è solo incidentalmente sui confini dell’Ucraina, ma riguarda tutti i confini. Se non si confina nell’area dell’inaccettabile l’idea che dei confini possano essere spostati con le armi, nessun confine rimarrà al sicuro e si creerà un coagulo malefico fra l’uso della potenza militare da parte di Putin e quello della prepotenza politica da parte di Trump per spostarli a proprio piacimento (Canada, Groenlandia, Panama e ridenominazioni geografiche). Il che riempirà di gioia la Cina, che della volontà di spostare i propri confini non fa alcun mistero e la condisce con esercitazioni militari che ammoniscono sugli strumenti che potrebbero essere utilizzati. La diplomazia delle grandi potenze, adottata dalla Casa Bianca, va in direzione opposta al contenimento della Cina (altrimenti non si sarebbe accanita contro l’India) e renderà più grande la Russia, più egemone la Cina e più piccola l’America.
In tale contesto la giornata americana consegna segnali importanti. Intanto Kyiv è considerata una capitale europea. Non solo e non tanto per la procedura d’ingresso nell’Unione Europea, ma perché gli altri europei la considerano il confine della propria sicurezza e perché in Usa ci si è resi conto che gli europei, in questa partita, non sono comparse, ma una forza di cui si deve tenere conto. La debolezza europea consiste nel non essere in grado, oggi, di assicurare in autonomia la propria sicurezza. La debolezza americana è che senza gli europei la potenza Usa, militare e non solo, viene declassata.
Un secondo elemento è relativo alle presenze: si può chiamarla Europa o chiamarli “europei”, ma la sostanza è che alla Casa Bianca c’erano i Volenterosi, ovvero quegli europei che non solo hanno considerato improponibile l’abbandono dell’Ucraina e hanno intensificato gli aiuti nel mentre gli Usa li riducevano (così favorendo Putin), ma hanno messo nel conto anche un possibile intervento diretto. Non in guerra, ma nel garantire una pace che in nessun caso può essere basata sulla parola del criminale Putin.
Circa gli specifici confini ucraini è un oltraggio all’intelligenza supporre che il problema sia accertare “cosa Zelensky è disposto a cedere”. Cosa c’è sull’altro piatto della bilancia? Gli europei (ed eventualmente gli Usa) non possono schierare su quel fronte un’armata pronta a fermare i russi, ma possono concentrare armi e difese che rendano costosissimo un nuovo attacco all’Ucraina. Questo, però, non è accettabile per Putin, che sarebbe partito denunciando un accerchiamento inesistente e arriverebbe a realizzarlo veramente. La pace negoziata, pertanto, non è a portata di mano.
Putin è stato ricevuto con onori ben maggiori di quelli riservati agli alleati storici degli americani, ma a dispetto dell’empatia fra i due capi di Stato la sua sola forza consiste nel potere mandare al macello ancora centinaia di migliaia di russi e di governare un Paese in cui la mancanza di patate è vissuta come una fatalità. Per il resto è in condizioni di debolezza e le poche avanzate che Trump ha favorito non sono riuscite a conquistare neanche le province che vorrebbe ottenere sulla carta. Il tutto, mai dimenticarlo, con anni di guerra nel corso della quale noi stessi abbiamo impedito agli ucraini di colpire in Russia. Il cielo non voglia che ci se ne debba pentire, in un futuro neanche troppo lontano.
Per forza che Putin chiede di negoziare gli equilibri globali (ovvero i confini di tutti), piuttosto che solo quelli su cui versa il sangue dei civili ucraini, dei militari russi e dell’incrocio fra mercenari e alleati dei coreani del Nord. E prova a farlo blandendo un tronfio e illuso Trump, affermando che la guerra (iniziata nel 2014) non sarebbe cominciata con lui alla Casa Bianca. Quasi circonvenzione d’incapace.
In ultimo: bene che Meloni sia stata lì, con i Volenterosi. Sarebbe bene chiarirlo agli italiani – già sui dazi si vide quanto poco amico sia l’amico Trump – tanto più che servirebbe a rompere il guazzabuglio hippy in cui sta annegando la sinistra.
Davide Giacalone, La Ragione 19 agosto 2025