Politica

Conflitti d’interessi

Provate a immaginare, se ci trovassimo in condizioni “normali”. Che so: alla nascita di un governo di centro destra, quindi presieduto da Silvio Berlusconi, o alla sua caduta; in prossimità di una campagna elettorale o subito dopo il suo esito. E in tale circostanza si diffondesse la notizia che il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, ha riservatamente (ma neanche tanto, visto che lo sanno tutti) incontrato il presidente della Repubblica. Inviato in missione da Berlusconi, o, come è più probabile, in missione autonoma, resasi necessaria per aiutare il suo amico di sempre a ottenere un quale che sia risultato. Ecco, secondo voi, cosa accadrebbe? Quel che è del tutto scontato: si leverebbe un coro vociante e indignato, pronto a esecrare l’ennesimo concretarsi del detestato “conflitto d’interessi”. E invece, oggi, succede il contrario: si guarda alla missione con apprensione e partecipazione, si spera che Confalonieri ce la faccia, che ce la facciano i figli, la famiglia, i colonnelli della prima ora, che tutti loro convincano Lui: guarda il titolo Mediaset, guarda gli affari del nostro gruppo e convinciti che conciliare è meglio che contestare. Il conflitto d’interessi è divenuto il salvagente cui aggrapparsi. Per carità: badi ai propri interessi, sia ragionevole e ci lasci in pace.

Confalonieri è la persona più assennata e ragionevole che io abbia conosciuto. Ce ne fossero. Lo scrivo senza celare l’invidia che mi rode, per quel diploma al conservatorio (con Francesco Saverio Borrelli a esaminarlo, una pagina che vale un romanzo). La sua non è sottile abilità diplomatica: è la potenza della semplicità e della sincerità. E ha fatto breccia, talché dal Colle è giunto un segnale di fiducia in Berlusconi. Fiducia che non ritiri la fiducia, che abbia fiducia e che pensi seriamente agli affari propri. Così l’allucinazione politicista spera che il conflitto d’interessi, dopo essere stato l’innesco della bomba berlusconiana, ne sia anche il disinnesco. Ragionamento che ha un solo difetto: è irreale.

Nel 1994 Berlusconi non vinse perché editore catodico, ma perché solo la sprovveduta arroganza della sinistra ideologica poté pensare che l’elettorato conservatore restasse senza rappresentanza. Essendo maggioranza. A quel tempo il gruppo di Berlusconi era molto indebitato, ma anche molto forte. La quotazione risolse i problemi finanziari, ma fu propiziata non dalle sue vittorie elettorali, bensì dalla sua sconfitta. La sinistra ha sempre sperato che il conflitto d’interessi tornasse utile, nel frattempo sbandierandolo come oscenità. Non funzionò (oggi il gruppo è finanziariamente solido, ma più debole, vendere il ramo televisivo non sarebbe un’amputazione, ma un buon affare). Da allora a oggi non s’è mai regolato seriamente il conflitto d’interessi, ma non perché Berlusconi non ha voluto si nuocesse al suo dominio, piuttosto perché l’Italia è dominata da conflitti d’interesse. Non ce n’è uno, ma tanti. E, del resto, il problema non sono mica gli interessi, senza i quali non c’è  mercato, ma neanche democrazia e libertà, ma il conflitto fra quelli particolari e il governo delle cose collettive. Tale conflitto è incancellabile in un Paese di socialismo reale, come l’Italia, in cui lo Stato e le amministrazioni pubbliche occupano più della metà del mercato. La via sana non è quella d’impedire a chi ha attività produttive di fare politica, ma di impedire alla politica di occupare le attività produttive. Vogliamo parlare delle banche? Dell’intreccio con i giornali? Delle fondazioni dominate dai partiti? Nel caso delle televisioni il grande scandalo è l’esatto contrario di quello che i fessi credono sia lo scandalo: la non applicazione della legge 223 del 1990, alias legge Mammì. E’ quello che perpetua il giogo politico sui teleschermi.

Ennio Flaiano scrisse che, in Italia, i problemi non si risolvono: passano di moda. Nella collezione autunno-inverno 2013 il conflitto d’interessi si veste per dare un taglio elegante al presunto senso di responsabilità. Ma guardate che gli italiani che votarono Berlusconi non lo fecero perché aveva le televisioni, e ora non si rassegnerebbero a scomparire, a far la parte degli ostaggi, solo perché qualcuno promette (e vagli a credere) di salvargli gli affari. Ne vedo più di uno cui farebbe bene leggere qualche pagina di storia, non solo la pagina dei programmi tv.

Pubblicato da Libero

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