Politica

Conservatori delle tasse

Quelli del Partito Democratico hanno perso la bussola politica, ed essendo marinai della domenica, di regolarsi con i venti e con le stelle neanche se ne parla. Prima si sono fatti massacrare da Antonio Di Pietro, che ad ogni accenno di ragionevolezza, in tema di giustizia, li inforchettava con il suo giustizialismo fascistoide. Non sapendo più che cosa dire, hanno chiesto che il Parlamento sia chiamato ad occuparsi d’altro che non di questo tema. Come se la giustizia fosse l’affare privato di uno solo, e, comunque, isolando gli sforzi revisionisti di un non ravveduto ma sempre realista Luciano Violante. E adesso, mentre Silvio Berlusconi usa il quotidiano La Repubblica per ribadire che intende avviare una profonda riforma fiscale, mentre Di Pietro fa l’aperturista, affermando non solo di essere pronto a discuterne, ma addirittura a votarla, se gli sembrerà una cosa seria, quelli del Pd non trovano niente di meglio da dire che non il bollare tutto come pura propaganda.

Che sarà magari vero, ma all’eventuale propaganda di una parte si deve rispondere con argomenti seri, non sfuggendo allo scontro. Capisco l’imbarazzo di questa sinistra, perché, proseguendo il ragionamento che svolgevamo ieri, la fiscalità è l’altra faccia della medaglia della spesa sociale, e chi tende a conservare la seconda, senza cambiamenti e innovazioni, tende anche a conservare, intatta, la prima. Ma, in questo modo, diventa a tutti gli effetti un partito conservatore. Il partito delle tasse e della spesa, per giunta con una bandiera non dimenticata, quella di Vincenzo Visco, ed una leggerezza incosciente oggettivamente indimenticabile, quella del Tommaso Padoa Schioppa che magnificava la goduria di pagar tasse elevatissime.

Hanno chiesto, è vero, di cancellare gli studi di settore, ma quello è un provvedimento non solo limitato, ma che era possibile prendere quando governavano. Ad un Berlusconi che proclama l’imminenza della grande riforma fiscale, insomma, una sinistra che voglia candidarsi a governare non può rispondere facendo spallucce, ma deve sfidarlo sul terreno del modello sociale e degli interessi da rappresentare e tutelare. Ieri, noi, un suggerimento lo avevamo dato: i redditi da lavoro dipendente non sfuggono alle tasse, ma sono fra i più bassi d’Europa; mentre quelli da lavoro autonomo si trovano in condizioni diverse. E, ancora, che cosa succede spostando l’attenzione dalla produzione al consumo? Con il che non intendo affatto alimentare né un’insulsa guerra fra dipendenti ed autonomi, né una penalizzazione dei consumi, ma solo indicare che questi sono i nodi attorno ai quali la politica deve prendere forma. O, come troppo spesso capita, restare informe ed insignificante.

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