Sospirano di sollievo e considerano saggia la sentenza della Corte costituzionale, sul blocco del rinnovo contrattuale nel pubblico impiego. Pensano ai 35 miliardi, ovvero il costo dell’effetto retroattivo dell’incostituzionalità, e plaudono all’eterea pesantezza di un concetto surreale: l’incostituzionalità “sopravvenuta”. Vale a dire: la legge non era incostituzionale, ma lo è divenuta invecchiando. Inoltre, siccome si considerano politiche le sentenze che colpiscono o demoliscono governi e governanti, se ne deduce che questa non lo sarebbe, visto che li soccorre. Invece credo che sia una sentenza molto, troppo politica.
Nel 2010, con la crisi economica che già faceva sentire il suo morso, il governo decise di bloccare il rinnovo del contratto nel pubblico impiego, per evitare un aumento della spesa pubblica corrente. In quel momento, del resto, gli stipendi pubblici avevano alle spalle dieci anni di crescita ad un ritmo significativamente più sostenuto dei salari nel settore privato. Dice la Corte costituzionale: il provvedimento era legittimo, ma non può protrarsi nel tempo, sicché il blocco è incostituzionale da questo momento. Due osservazioni: 1. che senso ha?, posto che la crisi, da quel momento, non è certo venuta meno, ma s’è incrudelita; 2. nel caso delle pensioni, poche settimane addietro, la medesima Corte considerò incostituzionale il blocco della contingenza (disposta solo per le pensioni superiori a tre volte il minimo) e dispose la restituzione degli arretrati (che il governo ha aggirato), sostenendo che il decreto che l’aveva disposto non aveva chiarito i termini della crisi economica. Allora, posto che il blocco delle pensioni è dell’anno successivo a quello dei contratti, quindi è anche durato meno, in base a quale criterio la Corte considera esistente o meno la crisi economica? E in base a cosa stabilisce la sopravvenienza o immanenza dell’illegittimità? Perché in un caso si restituisce e nell’altro no? Perché, avvertono taluni, la Corte s’è resa conto che far valere la restituzione avrebbe violato l’articolo 81 della Costituzione, ove si stabilisce l’obbligo del pareggio di bilancio. Peggio mi sento, se così fosse sarebbe abominevole.
Se le sentenze costituzionali dovessero dipendere dal bilancio si sovvertirebbe l’ordine logico. A parte chiedersi il perché i soldi delle pensioni non incidono sull’81 e quelli degli impiegati sì, resta il fatto che è il bilancio, semmai, a dipendere dalle sentenze, non il contrario. Se un diritto può essere conclulcato a causa della mancanza di fondi, si chiuda la Consulta. Quella riforma dell’81, che qui disapprovai, consente alla Corte di sindacare le leggi di spesa, ma non le impedisce affatto di provocare spesa. E’ un vincolo per chi governa, non per chi sentenzia.
Non basta: se in ragione di una valutazione politica, basata sulla difficoltà dei conti, il governo non potesse disporre il blocco o la riduzione degli stipendi pubblici, si ritroverebbe privo di sovranità. Diventerebbe a sua volta inutile. Quella decisione potrebbe ben essere contestata, in sede politica, ma non ha senso considerarla illegittima. Non è neanche un’invasione di campo: è la fine del campo. Se un governo adottasse, in tema di pubblico impiego, le misure adottate da quello spagnolo, o inglese, o irlandese (diverse fra di loro), saprebbe per certo di dovere subire proteste vivaci, ma non è sensato che quelle decisioni siano considerate incostituzionali. Di questo passo finiranno, gli illustri giudici, con il mettere fuori legge governo e politica.
Infine: dove sta scritto che il rinnovo contrattuale porterà giovamento agli impiegati pubblici? Fin qui è sempre stato così, ed è una delle ragioni (non la sola e non la prevalente) per cui ci ritroviamo con un debito pubblico mostruoso. Diciamo, a volere essere ottimisti, che potrebbe essere l’occasione per rivederne la struttura e i criteri di valutazione, anche se, dopo avere visto quel che sta succedendo nella scuola, temo che l’ottimismo sconfini nell’entrare in una zucca sperando che dei sorcitelli la trainino verso una festa principesca.
Il tutto senza dimenticare che la Costituzione riguarda tutti, mica solo i dipendenti pubblici. Se un dipendente privato chiedesse a quei giudici d’intervenire perché il suo contratto è scaduto e non rinnovato, rischiando anche di perdere il posto (pericolo che non si corre, nella pubblica amministrazione), gli direbbero di non disturbare. Se un autonomo eccepisse circa la propria incertezza del futuro, forse gli risponderebbero che se l’è cercata. Eppure anche noi pensavamo, forse sbagliando, che la Costituzione ci riguardasse.
Questa sentenza è politica allo stato puro. Alla Consulta si tutela lo Stato di diritto, non per questo avendo il diritto di esercitare poteri e uniformarsi a vincoli altrui.
Pubblicato da Libero