Politica

Contro l’asse

Nelle prossime settimane l’Unione Europea si gioca la pelle. A maggio si apre una finestra temporale destinata a chiudersi in fretta, quindi si deve approfittarne subito. Purtroppo il governo italiano è schierato dalla parte sbagliata, e la posta in gioco è così alta da non consentire di protrarre il cincischio provinciale che parte dalla scarsa credibilità e lucidità dei grossi partiti per approdare ad una delega tecnica oramai incamminata su un binario morto.

Lasciamo perdere l’orrore culturale dei giornaloni che (a ridosso del 25 aprile!) titolano sull’“asse Roma-Berlino”, dimenticando, o forse mai avendo conosciuto, l’origine mussoliniana di tale definizione. Sono il degno e increscioso complemento di una giornata celebrativa nel corso della quale si sono udite castronerie storiche pronunciate con incolta supponenza. Sono il segno del disfacimento che travolge non solo il mondo politico, ma tutta intera la pretesa classe dirigente italiana. Lasciamo perdere, guardiamo a quel che succede e succederà, utilizzando quel realismo e quel senso critico che ci ha portati, fin qui, a non sbagliare analisi e previsioni.

Il 6 maggio è probabile che François Hollande sia il nuovo presidente francese. Non perché in Francia c’è una maggioranza di sinistra, giacché il voto del primo turno presidenziale dimostra il contrario, ma perché la destra di Le Pen non ha interesse ad appoggiare Sarkozy, puntando ad avere un maggior ruolo in vista delle elezioni legislative. Se così andassero le cose Hollande avrebbe un potere rilevante solo nel tempo che va dal prossimo maggio al successivo voto politico. Quello è lo spazio in cui ridescrivere l’Ue, dopo di che le eurofobie si sommerebbero, trascinando nella dissoluzione il disegno federale incompiuto. Perché questo sia evitato occorre isolare e sconfiggere la pretesa tedesca di far prevalere l’Europa parametrale e bundesbanchizzata su quella politica. L’asse, quindi, non è solo una citazione orrenda, è anche l’evocazione di quel che nuoce agli interessi europei e ai nostri interessi nazionali.

Intendiamoci, la versione merkeliana dell’Europa non è demoniaca, è solo coerente con gli interessi del suo elettorato. La contraddizione insanabile consiste nel far dipendere, per ragioni di contingenza economica e di forza produttiva, la guida europea da un elettorato dialettale. E visto che si sta sbagliando politica da quasi un anno, continuare in quella direzione significa distruggere l’Unione. Cosa che nuoce ai nostri interessi. Da luglio del 2011 c’è stata una sola scelta non supina alla logica germanocentrica, e la si deve alla Bce di Mario Draghi. Ora che quell’approccio trova in Francia un interlocutore disponibile ci manca solo che il governo italiano si metta a ulteriore rimorchio dei suoi avversari. E’ un passaggio fondamentale, la cui rilevanza è tale da giustificare, se necessario, anche una crisi di governo.

Il problema non è, come il governo tedesco cerca di far credere, quello di conciliare il rigore con lo sviluppo, perché in questo modo si ottiene solo rigore per tutti e sviluppo per la Germania. Il problema è far camminare assieme l’integrazione politica con la gestione del debito e la programmazione di spesa pubblica destinata al credito e ai consumi. Il punto di caduta positivo è quello che indichiamo dal luglio scorso, ovvero la federalizzazione dei debiti sovrani, posto che l’alternativa consiste nel far saltare l’euro. O nel degradare progressivamente quanti restano in un euro germanizzato.

Non si tratta di caricare su altri le nostre deficienze, perché comunque noi italiani dobbiamo ridurre (drasticamente) il debito e la spesa pubblica improduttiva, che alimenta una mostruosa macchina burocratico clientelare, ma si tratta di farlo seguendo una politica di sviluppo e non di penitenza, di farlo tagliando la spesa e non aumentando le tasse. Mi preoccupa molto che Mario Monti indichi agli italiani la necessità che loro cambino stile di vita, perché il mio stile di vita, compatibilmente con i soldi che guadagno, lo decido io, è la pubblica amministrazione, è lo Stato che deve cambiare stile di vita, mettendosi a dieta.

La sinistra italiana non può che trovarsi sulle posizioni di Hollande (che pure sono colme di arretratezze ideologiche e nostalgie non coltivabili). La nostra destra non può non comprendere che in quella finestra si gioca l’interesse dell’Italia. Non è ragionevole che la grande maggioranza del Parlamento assecondi posizioni diverse, in omaggio a un commissariamento quirinalizio per reggere il quale, purtroppo, lo stesso presidente della Repubblica è oramai costretto ad esporsi assai al di là di quanto previsto dalla Costituzione.

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