Politica

Corre la linea della salma

Quel che prevedevamo è accaduto: la linea della salma corre veloce, consegnando una Sicilia ingovernabile, che accompagna la bancarotta del bilancio alla bancarotta della politica. Fin da agosto scrivemmo che la somma dei voti dei tre candidati ritenuti più forti, e per questo ossequiati e serviti dal sistema dell’informazione (Crocetta, Micciché e Musumeci) non avrebbe raggiunto la metà dei voti dei siciliani. Ci guardarono con compatimento, tronfi e arroganti nel credersi ancora padroni del voto isolano. La realtà è andata oltre, visto che a votare è andata meno della metà degli aventi diritto. Né provino a fare i furbi, affermando che il successo elettorale del Movimento 5 Stelle sia la causa del loro disfacimento, visto che ne è l’effetto. Cerchiamo di guardare in faccia la realtà: dalla Sicilia escono a pezzi sia il Pdl che il Pd, consegnando la regione al commissariamento. L’isola del 61 a zero (il risultato di un tempo, che vide trionfare il centro destra) è divenuta quella dell’azzeramento. Di tutti.

Il presidente eletto, Rosario Crocetta, non ha la maggioranza e non potrà governare. Pensare di mettere assieme una coalizione di perdenti, tenendo assieme un mondo che ha in comune solo l’avere fatto nascere, eleggere e governare Raffaele Lombardo, così perpetuando la stabilità del trasformismo e della bancarotta, non è solo mostruoso: è patetico. Del resto, senza una coalizione di quel tipo non c’è modo di far stare in piedi il potere esecutivo, sicché il voto siciliano emula quello greco, richiedendo la ripetizione.

La sinistra paga il proprio coinvolgimento in un sistema di potere che ha portato la Sicilia al disastro, rendendola incapace di distinguersi da una stagione fallimentare. La destra paga la fuga dalle responsabilità e dalla politica, il proprio dilaniarsi in una guerra intestina priva di riferimenti a idee e programmi, improntata esclusivamente alla sopravvivenza di gruppi dirigenti popolati da mezze figure. Il lombardismo non pagherà il prezzo delle proprie colpe, perché si riaffaccia come unico punto d’equilibrio dello strutturale squilibrio dei conti. I siciliani hanno dato la sola risposta che è stata offerta loro: la condanna di tutti. Si badi, non è una questione dialettale, perché proprio queste sono le condizioni che fanno correre la linea della salma, il pretenzioso desiderio di potere da parte di chi è già defunto.

Ciò riguarda la politica, i partitanti dipartiti, ma anche il resto del sistema. Quello dell’informazione, ad esempio, che ha ossequiato e servito i presunti potenti, salvo dovere fare i conti con la loro totale impotenza. Quello delle rappresentanze sindacali, incapaci di rompere il maleficio di un governo inteso come dispensatore di ricchezze che non si sono più. Quello imprenditoriale, che non ha trovato la lucidità e il coraggio di una rottura preventiva, chiara, netta, preferendo attendere gli esiti e predisporsi all’andazzo di sempre.

Abbiamo avvertito per tempo, detto e scritto in tutte le salse, ma parlavamo al muro. La politica pensando di potere sopravvivere alla propria fine. L’informazione lisciando il pelo ai propri beniamini (La Sicilia appoggiando Crocetta e il Giornale di Sicilia appoggiando Musumeci) e divertendosi a giocare con chi puntava sulle loro evidentissime insufficienze. L’opinione pubblica moderata, pronta a prendere le distanze dai moti plebei, ma incapace di avere un ruolo attivo. Avevamo documentato l’imminenza della fine, ma anche le possibili vie d’uscita. Non è servito a nulla. Speriamo serva a qualcosa il trauma. Un’ultima cosa: a molti politicanti siculi piace prodursi nei gargarismi dell’autonomismo, laddove, semmai, essi ne sono il più evidente fallimento.

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