Politica

Credibilità e conti

C’è un filo che lega le polemiche sui provvedimenti economici agli esiti delle indagini napoletane, che unisce la tenuta dei conti a quella personale. Un filo che allaccia la paura che si registra in Borsa con l’attesa di tempesta sui titoli del debito pubblico. Ed è un filo che rischia di strangolare un governo che non sappia maneggiarlo con cura e accortezza. Non si tratta di adottare questo o quel provvedimento, ma di mettere in scena due beni scarseggianti: credibilità e fiducia. Tanto che deve intervenire Mario Draghi, con una scelta dei tempi che sintetizza la delicatezza del momento e il cambio di mano nella garanzia dei conti pubblici.

Molte delle asperità della manovra in corso sono più apparenti che reali. Non si tratta di sviste o di mancanza di coraggio, ma di una resa all’immutabilità delle cose e di una ruvidezza voluta, proprio per segnalare ai mercati che l’Italia si sta muovendo, e lo sta facendo senza guardare in faccia nessuno. L’importante, aggiungo, è che non si muova senza guardare. Molti sono liberi di non crederci, ma l’economia non è solo numeri e formule, la componente politica e psicologica è assai rilevante.

La scena, purtoppo, non è del tutto convincente. Il problema non è che il Paese si rivolti contro misure considerate ingiuste, o che i pensionati si ribellino al prelievo che li attende, sotto forma di blocco o sforbiciata alla rivalutazione, con ciò stesso indebolendo il governo, il problema è che il governo arriva all’appuntamento con una maggioranza surrogata e un corpo sfibrato. I mercati sono come la giungla: si vede dagli occhi se la preda ha paura, si sente l’odore se è ferita, e se ti spaventi o arranchi ti mangiano. Ecco, nel mentre noi discutevamo del gran rigore i mercati hanno allargato la distanza fra i tassi d’interesse che paghiamo sul debito pubblico e quelli che pagano i tedeschi. La Borsa è scivolata. Il ruggito s’è sentito. Serve a nulla fischiettare.

La tesi sostenuta dal governo, per bocca di Giulio Tremonti, è solida: i conti sono in regola per il 2011, nel corso del quale c’è bisogno di un ritocco minimale; sono in sicurezza anche per il 2012, con solo una correzione più significativa; è vero che il grosso della manovra è collocato nel 2013-2014, ma è anche vero che nessuno ci chiede di azzerare il deficit prima. E’ così. Risponde a verità anche il fatto che chiunque governerà non potrà mai venire meno ai tagli fissati e all’entità delle manovre future, ma potrà, tutt’al più, cambiarne i pesi interni (mettere da una parte togliendo dall’altra). I mercati, però, non si limitano a sniffare, sanno anche leggere ed hanno visto che la delega per la riforma fiscale copre tre anni, e posto che questa legislatura, se proprio vivrà tutta la sua agonia, ne dura altri due, vuol dire che la delega potenzialmente sposta la riforma al prossimo governo. Il che non giova alla credibilità.

E qui veniamo ad un punto dolente. Molto dolente. Tremonti è riuscito a vestire gli abiti del garante del nostro debito pubblico. Lo ha fatto in modo molto convincente all’estero e molto brusco in Italia. La burocrazia del suo ministero è divenuta onnipotente, al punto da dimenticare i fondamentali della propria natura (altrove le dimissioni sarebbero già state date, per la critica a un ministro). A Tremonti va il merito di avere resistito alle pressioni dei colleghi. Se avesse ceduto saremmo rovinati. Ha il demerito di non avere trovato la via per conciliare rigore e sviluppo, limitandosi a tenere tutto fermo. Il resto del governo, a cominciare da Palazzo Chigi, non ha saputo far nulla per contendergli il ruolo di garante. Se questa stessa manovra avesse recato una firma diversa i mercati ci avrebbero già strappato un brano di ciccia.

Il guaio è che Tremonti ha dimostrato un certo logorio nervoso ed ha beccato una brutta botta. Propongo che i ministri del prossimo governo vadano tutti ad abitare in caserma e trovo folle che non sappiano praticare un minimo di saggezza residenziale. Sembrano profughi senza tetto: a uno gliela pagano gli sconosciuti e l’altro va a vivere da amici, per giunta a due passi dal predecessore che s’accaparrò un’intera palazzina, ristrutturandola furbescamente. La presunzione d’innocenza è inviolabile, non lo si racconti a noi, ma un indirizzo normale, cribbio, ve lo volete procurare?

Ne parlo perché è rilevante ai fini della credibilità. I ministri non possono far a gara nel proclamare che manco sapevano cosa c’era scritto in un testo di decreto inviato al Quirinale, né possono farsi scudo del fatto che il Presidente lo ha poi firmato, perché così commettono due errori, di cui uno ingigantisce l’altro. I conflitti, anche personali, sono normali. Non ci si deve scandalizzare. Ma questi non hanno capito d’essere come i capponi di Renzo e continuano a beccarsi nel mentre s’avvicina il tegame.

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