Politica

Da qui al Quirinale

L’Ulivo, dunque, si è definitivamente sfasciato. E’ un fatto, ma è un fatto che va letto in maniera non affrettata: abbiamo un sistema elettorale maggioritario che spinge verso un (sia pure innaturale) bipolarismo, il disfacimento di uno dei poli comporta l’inamovibilità dell’altro. E questa sarebbe una tragedia.

Lo spappolamento dell’Ulivo può essere un passaggio positivo se consentirà di dare aria e luce alla sinistra democratica e riformista, capace di non mettere mai in dubbio il sistema delle nostre alleanze internazionali. Purtroppo, il resto della sinistra, quella di origine comunista, è coerentemente e radicatamente contro quel sistema di alleanze, come dimostrò in anni lontani chiedendo l’uscita dalla Nato, poi manifestando contro lo schieramento degli euromissili (che furono schierati grazie all’indipendenza politica di Bettino Craxi), poi organizzando le marce della pace, poi ancora andando fino in Vaticano per manifestare contro la prima guerra all’Iraq. Di tutto questo quella sinistra, per bocca dei suoi leaders (per il vero sempre gli stessi) si disse dispiaciuta e pentita, al punto da dare il suo utilissimo contributo per l’invio delle truppe in Serbia. Alla prima prova del fuoco ricadono nel loro passato, ed è, questo, un fatto di cui non si potrà non tenere conto.

Ma il resto della sinistra ha dovuto trovare il coraggio della rottura, e sarebbe colpevole limitarsi ad osservare gli esiti dello scontro. Attenzione, però, perché il nostro sistema politico non è organizzato con due grandi partiti e, quindi, non è che il cambio di linea politica di uno dei due modifichi il giuoco elettorale. Mentre in Inghilterra il pragmatismo di Blair toglie la guida del Labour ai massimalisti sindacali e, con questo, lo conduce alla vittoria elettorale; da noi la rottura sulla politica estera si limita a proporre due tronconi, ma non una nuova linea politica.

Pensare di rimediare a questo semplicemente chiedendo il ritorno al sistema proporzionale, magari riveduto e corretto, non è cosa utile, perché ne risulterebbe un’estrema difficoltà nel dare vita e tenere assieme delle maggioranze di governo. Un passo indietro, insomma. Né, però, per solo amore del maggioritario (sentimento che non coltivo) si può chiedere alla sinistra democratica ed occidentale di fare blocco con il pacifismo piazzaiolo. Non so quanti se ne sono accorti, ma questo è il guaio: da noi il maggioritario ha funzionato dando troppo potere condizionante agli estremismi, anziché condurre i due schieramenti a confrontarsi al centro, ovvero sul terreno della ragionevolezza e della moderazione.

Come se ne esce? Per la verità l’esplosione dell’Ulivo mette in luce diversità programmatiche e sensibilità politiche che non sono inferiori a quelle presenti nella Casa delle Libertà, ma qui il centro è saldamente presidiato da una forza più elettorale che politica. I perché di questa caratteristica vanno cercati nei primi anni novanta e nell’uso politico che si fece delle inchieste giudiziarie. Chi c’invita a dimenticare non ha ancora capito di vivere immerso nelle conseguenze di quella stagione. Comunque, a parte le origini del fenomeno, è sotto gli occhi di tutti che il partito di maggioranza relativa vive senza scadenze congressuali, senza programmi, senza idealità, totalmente identificandosi (e non è poco) con l’attività governativa del suo fondatore e leader.

Chi ragiona di politica, talora, per pensare, leva gli occhi al cielo, e, così facendo, incrocia la sagoma del colle più alto. Mi vien da ridere quando, a proposito delle inchieste giudiziarie dei primi anni novanta, sento parlare di “pacificazione”. E’, quella processuale, una storia chiusa, che non ha neanche bisogno di essere pacificata. Ma non le sue conseguenze, non i suoi duraturi effetti politici. Ed il Quirinale è il luogo ove quest’operazione può essere compiuta.

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