Politica

Dal caos all’Iva

Prepariamoci all’aumento dell’Iva. Fra poco. Dopo l’agosto delle mille manovre a capocchia, quello è il punto di caduta. Servirà a far cassa vera, e subito, ma non è detto che abbia effetti significativi di contrazione dei consumi. A meno che non riescano a pasticciare anche in questa materia. Immaginare un aumento temporaneo, a scadenza annunciata (tre mesi, ad esempio), è un modo per indurre i consumatori a comprare solo quel che è indispensabile, rimandando il resto a dopo. Non perché quel punto di differenza cambi i loro conti, ma perché sapranno di pagare meno e si regoleranno di conseguenza.

Lo spettacolo di questi giorni non è solo desolante, ma anche nocivo. L’attacco speculativo contro i titoli del nostro debito pubblico ha avuto origine da una deficienza istituzionale dell’euro ed è stato placato dalla lettera spedita dalla Banca Centrale Europea, all’indirizzo del governo, cui sono seguiti gli acquisti di titoli che hanno ridotto il differenziale rispetto ai tedeschi. Se si mostra che tale intervento consente il fiorire del caos e l’inefficacia delle misure di stabilizzazione, si ottiene un solo risultato: ripartità la speculazione. Può accadere lunedì prossimo, fra una settimana, fra un mese. Quel che conta è che può accadere, che è prevedibile. Forse scontato. A quel punto le chiacchiere staranno a zero, le baggianate sull’evasione fiscale non produrranno gettito, le pensioni saranno intoccabili, la spesa sanitaria resterà fuori controllo e, allora, si aumenterà l’Iva.

In due settimane il governo ha inanellato una serie spaventosa d’errori, il più grande dei quali è l’avere agitato sentimenti senza disporre e dotarsi di strumenti. Si è detto che sarebbero state toccate le pensioni, annunciandone anche i capitoli (quello dei contributi figurativi è un tema serio ed è giusto che non contino ai fini dell’anzianità), ma poi si sono rimangiati tutto. S’è sollevata la reazione rinunciando all’azione. Si è data occasione per formare un fronte comune degli enti locali, con sfilate in fascia di sindaci d’opposto colore, salvo rinunciare ai tagli annunciati. Si è detto ai redditi più alti che avrebbero dovuto pagare la colpa della ricchezza e dell’onestà (voluta o obbligata), salvo cambiare idea. Si sono fatti arrabbiare tutti senza fare niente. Invece si sarebbe dovuto dire chiaramente che anche i così detti “diritti acquisiti” possono essere toccati, ma essendo conseguenti e rivolgendo l’attenzione verso ciò che non crea discriminazioni, senza giocare a mosca cieca. L’età pensionabile, ad esempio. Ora si fanno tintinnare le manette per gli evasori, commettendo l’ennesimo errore.

Quando s’ammanetta, l’evasore? Quando vuole l’Agenzia delle entrate? Ma allora ammanettiamo tutti, e festeggiamo anche gli arresti a cura delle procure. Che differenza c’è, se è l’accusa a contare e non il giudizio? Oppure lo si ammanetta dopo la condanna? Fra anni, ammesso che ci si riesca. E dove li mettiamo, dato che le carceri traboccano? Potremmo metterli ai domiciliari sulle loro barche e dentro le ville intestate a società di copertura. E sai che paura.

Quel che i governanti non sembrano capire è che così accarezzano la bestia giustizialista, la stessa che è pronta a divorarli. Così si agitano i sentimenti peggiori, senza neanche portare a casa risultati.

L’ultima trovata: il contribuente indichi nella dichiarazione i propri conti correnti e depositi. Ma li conoscete di già! Basta mettere il mio codice fiscale nell’anagrafe tributaria e viene fuori tutto. Tutto salvo quelli segreti e all’estero, che col cavolo ti mettono nella dichiarazione. In queste condizioni per forza che si escludono i condoni, perché non ci crede nessuno e non ci si fida. Aderirebbero solo gli evasori già scoperti, a suggello dell’incapacità di punirli.

Andremo all’Iva. Anche perché vorrei non ci si dimenticasse che a ottobre Jean-Claude Trichet lascia il suo posto a un italiano, Mario Draghi, e credere che, in quelle condizioni, la Bce possa intervenire, con più forza e meno condizionamenti, a nostro favore significa credere alle favole.

Aggiungo: nel mentre il governo si produceva nella fiera delle trovate balzane, sia l’opposizione che augusti candidati all’ingresso in politica si esercitavano anch’essi nel cambiare assiduamente l’elenco dei provvedimenti da prendere, spesso scadendo nella più stolta demagogia. Segno che c’è un vasto deficit di consapevolezza e serietà. Che dalla favola si sconfina facilmente nella parodia.

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