Politica

Dal regime al declino

Dieci anni fa, vedendo la sinistra italiana avvicinarsi al governo del Paese, scrivevo che v’era il pericolo di un regime. Credo, ancora oggi, che sia stato un pericolo reale, e scongiurarlo è e rimane il merito storico di quella che si è chiamata la Casa delle Libertà.

Sì, dieci anni dopo è ancora più chiaro: la magistratura inquirente lavorava ai bordi e fuori dai bordi del diritto, massacrando chiunque mantenesse una posizione di resistenza contro il rullo compressore:

Andreotti indagato per mafia e Mancino presidente del Senato; Craxi costretto alla fuga ed Amato chiamato a salvare il Paese; Cosa volete di più per capirlo? E nel mentre questo accadeva la grande stampa d’opinione si macchiava della più vile connivenza e complicità, favorendo così gli interessi di proprietari sotto ricatto ed al tempo stesso desiderosi di salvare la cassa. Oggi taluni si pentono, altri dicono di vergognarsene, ma sta di fatto che nell’Italia di quegli anni la pochezza morale dei più rendeva realissimo il rischio di un regime. Un regime costruito da gente che se la faceva sotto, e da gente che badava agli affari, con Franco Nobili in galera e Romano Prodi addetto alle svendite. Lo ricordate? Ed ancora non capite?

Esiste ancora un pericolo di quel tipo? No, ed il merito non è di una sinistra capace di riconoscere gli errori (orrori) commessi ed elaborare nuove linee politiche, ma di un signore che si chiama Silvio Berlusconi, capace di predisporre un contenitore per la maggioranza degli italiani e di condurre a fruttuosa convergenza le divergenti linee politiche delle diverse forze che compongono la Casa delle Libertà. La sua vittoria del 1994 fu un colpo geniale, e di alta positività; la sconfitta di due anni dopo la incassò pur prendendo la maggioranza dei voti, e gestendo in modo ineccepibile il ruolo di oppositore; la vittoria del 2001 segna, in un certo senso, il passaggio alla normalità. E qui, per lo schieramento di centro destra, vengono i dolori.

All’inizio si pretese di mettere il governo Berlusconi sotto tutela, mediante la presenza di un ministro degli esteri, Renato Ruggero, che rispondeva a logiche estranee a quelle della coalizione vincente. Presto Ruggero si dimise, ed il risultato fu eccellente: dopo tre anni possiamo dire, senza tema di smentita, che la politica estera è il terreno sul quale il governo ha dato il meglio di sé. E non è poco, anzi, è moltissimo. Ma sul resto le cose sono andate assai diversamente.

Il governo ha aperto fronti caldissimi, accettando scontri durissimi, ma portando a casa risultati miserandi: dal settore della giustizia al mercato del lavoro non c’è rapporto fra energie spese e realizzazioni effettive. Alla politica economica è mancata la capacità di comunicare al Pese, fin da subito, le difficoltà di bilancio e d’impostare, fin da subito, misure capaci di segnare una svolta: Quando tutto è divenuto urgente ed indispensabile si erano già spese le energie necessarie per resistere, e si è provocata la scena che è sotto gli occhi di tutti. Insomma, tirate le somme, il bilancio del governo porta l’attivo in politica estera e porta il segno negativo su quasi tutto il resto.

I poteri forti. Si sono mossi, e si stanno muovendo. Hanno la grande stampa, coltivano un rapporto con il Colle più alto. Non sono ostili solo al governo, sono divenuti ostili alla politica. Però, ed è questo quel che più conta, sono la parodia dei poteri forti. Sono deboli. Privi di politica industriale e stracarichi di debiti. Ciò non deve rassicurare, essendo, semmai, un ulteriore elemento d’inquietudine.

Nella situazione data chi, come noi, crede nella forza della politica, nel suo valore morale e nella sua insopprimibile funzione democratica, non può che considerare riaperti i giuochi. Cosa significa? Significa che la sinistra deve essere affrontata nelle sue insufficienze programmatiche, nei suoi straordinari ritardi culturali, nella sua insopportabile dipendenza da un antagonismo che vive di leggende contro il mercato e contro l’Occidente. Significa che il centro destra non deve essere vissuto come un contenitore utile alla mera sopravvivenza, ma come un soggetto cui non fare sconti nelle critiche, senza nulla tacere di quel che si potrebbe fare e non si fa, senza nulla tacere del male che ne corrode le ossa: l’antipolitica.

Il rischio del regime, oggi, non c’è né da una parte né dall’altra. Il rischio di non sapere arrestare il declino c’è, invece, da una parte e dall’altra. Contro questo rischio occorre mobilitare l’iniziativa politica, l’elaborazione di proposte, la messa a punto di programmi, la messa in scena d’autentica passione. In altre parole: è il momento nel quale l’area laica, liberaldemocratica e socialista democratica, è chiamata ad avere identità propria, distinguibile, vivente nel nostro tempo e non in un passato che non torna. Ove gli uomini di questo mondo non siano all’altezza del compito, ove concentrino le loro menti nel cercare solo i margini della propria sopravvivenza, vorrebbe dire che il loro spessore politico è financo inferiore alla loro consistenza numerica.

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