Le bombe in Giordania raccontano la natura del conflitto scatenato dall’integralismo islamico, descrivono la realtà non di una contrapposizione fra islamici e non, ma fra integralisti religiosi, fra fanatici e briganti, da una parte, ed il mondo della ragionevolezza dall’altro. All’integralismo islamico, a questa bestemmia che usa il credo come un’arma di sterminio, sta assai più sul gozzo un governo islamico moderato che non una libera democrazia del laico occidente.
La Giordania è un Paese quasi totalmente islamico, ma non per questo la regina Rania gira intabarrata, anzi, mostra la sua bellezza e la sua cordialità ai cittadini di tutto il mondo, compresi quelli del suo Paese. Rania è di origine palestinese, come anche quasi un terzo dei giordani. Il regno di Abdallah II, figlio di quell’Hussein che cacciò le organizzazioni terroristiche, confina con Israele essendo in pace con Israele. Confina anche con la Siria, giocando, però, nello scacchiere mondiale un ruolo opposto. Mentre i siriani si prestarono all’imperialismo sovietico e si prestano oggi alle manovre antioccidentali dell’integralismo, i giordani hanno scelto la via della pace e dei buoni rapporto con i popoli liberi e democratici. Questo è il Paese che i terroristi hanno nel mirino, desiderosi di colpire il volto civile dell’Islam.
Ed è su ciò che si dovrebbe fermare la riflessione politica e culturale. Non solo non si può essere equidistanti, o cinicamente equivicini, fra Israele ed Hezbollah, ma non si può esserlo nemmeno fra le milizie terroriste e la Giordania. Se quest’ultima è colpita in quanto nostra alleata, noi abbiamo non solo il dovere morale, ma la convenienza politica di schierarci al suo fianco. La convenienza, perché la malaugurata ipotesi di vederla cadere nelle mani del fondamentalismo renderebbe tragicamente concreta la prospettiva di una guerra, che noi combatteremmo in condizioni d’inferiorità.