Il terreno della politica estera è decisivo, per il nostro futuro politico. Il centro destra ha ricacciato indietro le componenti antiatlantiche, che pure si trovano al suo interno; il centro sinistra sembra aver trovato la forza di cacciare indietro la versione contemporanea dell’impossibile neutralismo, il pacifismo.
Le notizie tragiche che giungono dall’Iraq, prima con la strage dei nostri militari, ora con l’esecuzione a freddo di un privato cittadino, hanno spinto e favorito quest’evoluzione. Segno di un Paese serio, che merita serietà.
Adesso è chiaro a tutti che le democrazie militarmente impegnate in Iraq non potranno far ritorno a casa se non dopo avere stabilizzato quel paese e dopo essersi assicurate che non diventi una piattaforma per il terrorismo. Questo nell’interesse dei propri popoli, e nell’interesse anche dei milioni di mussulmani che non intendono cedere ad una versione fanatica, cieca, sanguinaria e blasfema della propria fede religiosa.
Adesso è chiaro che non tutto dipende dall’Onu, anzi, all’opposto, che l’inerzia delle Nazioni Unite suona condanna di quell’alto consesso, non di chi paga il prezzo di un impegno necessario.
Il terreno della politica estera è decisivo anche perché mostra quanto sia pericoloso non provvedere ad un aggiornamento del nostro sistema istituzionale. Nel maggioritario all’italiana sono le estreme a menare la danza delle alleanze elettorali, sono le minoranze a condizionare le maggioranze. Vale per la destra quanto per la sinistra, ma a sinistra la cosa diventa stridente proprio a proposito degli affari esteri. La gara a prendere, sempre e comunque, un voto più degli avversari, rischia di ripercuotersi in un annacquamento di posizioni faticosamente e dolorosamente raggiunte.
Per onorare i nostri morti, come i morti dell’intera coalizione militare, come i morti civili provocati dal terrorismo, non si abbandonerà il campo, ma, per onorarli fino in fondo, si guardi anche alle riforme necessarie per rendere il Paese solido innanzi alle sfide che ci attendono.