Politica

De-crepo

La rumorosa opposizione ortottera ha un merito: ha stanato tutti sulla sorte di Banca d’Italia. Il deputato Giorgio Sorial, del Movimento 5 Stelle, ha dato il suo insperato contributo ad evitare che, anche oggi, i giornali si soffermino sul merito della questione, che è enorme, e c’è riuscito dando del “boia” al presidente della Repubblica. In più di una banca, di una redazione e di una sede (indebitata) di partito gliene saranno grati. Ma sta di fatto che la, pur tardiva (potevano pensarci al Senato, noi battiamo il tasto da novembre!), determinazione nell’opporsi all’osceno trasloco di patrimonio, da pubblico a privato, ha costretto tutti a uscire allo scoperto.

Fino a ieri, su quel decreto legge, sembrava che i gruppi dominati fossero solo due: a. quelli che, Partito democratico renziano in testa, votavano a favore, ma se ne vergognavano; b. quelli che, Forza Italia in testa, votavano contro, ma non se ne vantavano. Cosucce timide s’erano viste, sia nel gruppo di sinistra, dove non pochi senatori s’erano rivoltati al decretaccio, sia nella destra, dove il dubbio più grosso consisteva nel non volere credere che si stesse consentendo lo scempio. Ma, per vederle, ci voleva il microscopio. Il merito della gazzarra pentastelluta è di avere scoperchiato il formicaio.

Linguaggio inaccettabile, quello di Soria. Concetto volgare. Eloquio sgrammaticato. Ciò non toglie, però, che se il Colle lascia passare un decreto improponibile, per la sua disomogeneità, mettendo assieme un microbo urgente (Imu) a un elefante inquietante (Bd’I), e se financo la discussione viene strozzata, complice un sistema dell’informazione che ha dimostrato tutta la sua cointeressata e complice omertà, qualche dubbio sulla praticabilità democratica e la linearità istituzionale è lecito. L’onorevole con la barbetta intarsiata non merita alcuna comprensione. Tal quale quanti hanno accompagnato il decreto con la penna fra le gambe, e non penzolante. Tal quale i parlamentari che sanno benissimo quale disastro si prepari, ma lo hanno votato per disciplina e voglia di restare dove sono. Qui l’unica attenuante è l’ignoranza, che può essere attribuita in modo vasto, ma conduce solo a farli rincasare in fretta.

Lo scorporo poteva essere una teorica soluzione, come supposto da una delle forze della maggioranza, Scelta civica, per bocca di Andrea Romano: da una parte la copertura Imu, che viaggia per decreto; dall’altra Bankitalia, che torna in stazione. Dario Franceschini, ministro per i rapporti con il Parlamento, l’ha definita impraticabile. Ha ragione. Non sotto il profilo tecnico, ma sostanziale: camuffata da Imu è l’altra l’operazione cui tengono.

Il presidente della Camera, Laura Boldrini, e il capo gruppo del Pd, Roberto Speranza, hanno detto che sarebbe stato intollerabile vedere cadere il decreto, perché ciò avrebbe comportato l’immediato pagamento, da parte degli italiani, della seconda rata Imu del 2013. Vadano a fare un corso serale, che tanto di mattina dormono: se cade il decreto manca la copertura, comportando un problema per il governo, non per gli italiani. Certo, se l’unico modo che conoscono per coprire i buchi consiste nello scavarli nelle tasche altrui, la loro tesi assume un certo fascino. Ma niente affatto in modo automatico.

Visto che l’opposizione la si faceva veramente, Forza Italia, con Renato Brunetta, ha ritrovato voce per dire non solo che il decreto è una porcheria, non solo che la sua disomogeneità lo rende illegittimo, ma che chi lo ha concepito deve essere allontanato. Ancora non riescono a dire che rivalutare un patrimonio non nel posto dove si trova, ma nei bilanci degli azionisti (che poi azionisti non sono manco per niente), trasformando in privato quel che è collettivo, è uno scandalo. Attendiamo che lo capiscano.

Intanto Fratelli d’Italia, con Guido Crosetto, ha posto una questione, presentando un ordine del giorno in cui si specificava che l’oro della patria resta dello Stato, non essendo proprietà di Bd’I. Il governo ha rifiutato il consenso. Quella dell’oro è questione complessa. Mi limito a ricordare che la banca centrale lo inserisce nel proprio patrimonio (pagina 260 della relazione annuale), valutandolo in 99.4 miliardi di oro e crediti in oro. Le 2450 tonnellate di riserve auree, dunque, che fine fanno? Nel senso: di chi sono? Perché se sono della banca ora finiscono agli azionisti. Privati. Se sono dello Stato, come ritengo, e colà solo depositati, allora non dovrebbero stare a stato patrimoniale. Neanche a questo dubbio, in tutti i sensi pesante, hanno voluto rispondere.

Il decreto è in bilico. Per convertirlo il Pd paga il prezzo d’intestarselo interamente, cosa che gli procura amicizie altolocate e rabbia ampiamente dislocata. Per emanarlo Napolitano dovrà accettare di riceverlo e firmarlo solo poche ore prima della scadenza ultima, fissata per la mezza notte di oggi. Di solito lanciava moniti sia contro i decreti disomogenei che contro gli invii senza tempo per leggere. Che s’ha da fa’, pe’ banca’.

Pubblicato da Libero

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