Il passato non digerito torna sempre a gola, ogni volta in modo sempre più sgradevole. Il nostro mondo politico, che sugli ultimi dieci anni ha accumulato una montagna di bugie ed ipocrisie, non sfugge a questo destino.
La sinistra erede del comunismo, che tentò di cancellare il proprio passato senza dover passare per un suo spietato riesame critico, e che tentò di farlo infangando la storia di forze politiche democratiche che hanno reso civile e ricco questo Paese, quel rigurgito lo subisce in termini d’azzeramento politico e non credibilità morale.
Al tempo stesso, purtroppo, capita che buona parte del personale politico che subì la persecuzione giudiziaria si impegni più a cercar vendetta che a capire e spiegare, più a voler regolare i conti del passato che ad impostare un futuro meno corrotto dalla bugia e dalla falsificazione. Il saggio di Gianni De Michelis, “La lunga ombra di Yalta”, edito da Marsilio, si muove su tutt’altro livello, ed è un’ottimo contributo al dibattito d’oggi, mentre si candida ad essere una tessera indispensabile per le ricostruzioni che si faranno in futuro.
De Michelis muove da questa considerazione: non si può capire quello che è successo se non si comprende la condizione internazionale in cui si trovava l’Italia, che, dopo Yalta, quindi dopo gli equilibri che chiusero la seconda guerra mondiale, era collocata nell’area occidentale, ma aveva il più forte partito comunista mai esistito in una democrazia parlamentare. Quel partito aveva, sì, uomini e tradizioni nazionali, ma aveva un indubbio, prevalente, perdurante e dimostrabile legame con l’Unione Sovietica. L’enorme forza di quella macchina politica, con a disposizione una solidissima struttura finanziata da una potenza nemica della democrazia, distorceva le regole della nostra vita nazionale, e distorceva le prospettive della sinistra italiana.
Il pregio del ragionamento sta proprio nel non essere tutto chiuso nelle nostre vicende nazionali, poi sfociate nella vergognosa stagione del giustizialismo, per portare poi alla vittoria di un centro destra guidato da un soggetto che, fino ad allora, non era politico. La riflessione si allarga oltre, individuando le caratteristiche di un processo che ha coinvolto e colpito anche altre democrazie, che in Italia ha avuto caratteristiche singolari ed altrove sconosciute, e che, infine, ci consegna un mondo ove i perseguitati sono i vincitori.
Già, perché il mondo di oggi, con i molti problemi che De Michelis passa in rassegna, è pur sempre un mondo in cui molti popoli hanno ritrovato la libertà, abbattendo le sbarre della grande prigione comunista, in cui all’Europa si pongono le nuove sfide di una realtà non più soggiogata dal bipolarismo militare. E’, questo, il mondo per il quale la sinistra democratica ha combattuto negli anni che vanno dal dopoguerra al crollo dell’URSS, e che solo per effetto della corruzione del gioco democratico ha visto sparire i fautori della libertà e sopravvivere i suoi nemici.
Ma c’è di più. De Michelis ripercorre le tappe della vicenda politica che va dall’arrivo di Bettino Craxi alla segreteria del psi, fino alla pagina buia della sua cacciata dall’Italia, e ricorda, con precisione di fatti e circostanze, come vi sia stata, da parte socialista (e non solo socialista, aggiungo) la continua preoccupazione di non spezzare il filo del dialogo a sinistra, di mantenere aperta la via alla realizzazione di una democrazia dell’alternanza. Il ragionamento di allora era sanamente politico: si devono battere le idee conservatrici del pci, la sua tendenza al pauperismo sociale, la sua resistenza a comprendere i bisogni di una società non assimilabile all’analisi di classe; si deve spezzare il legame di dipendenza con il comunismo internazionale, che ne fa una forza inaffidabile, ed a tratti pericolosa; ma non si deve cercare l’eliminazione, la sconfitta umiliante, l’azzeramento di una forza politica che rimaneva pur sempre un elemento imprescindibile della sinistra.
Sulla scala mobile i comunisti avevano torto, ed è stato un bene averli battuti, ma non per questo si minacciò la politica sindacale di allora. Ed in campo internazionale il via libera al loro ingresso nell’internazionale socialista può essere letto, come fa De Michelis, come un errore tattico, ma rimane un passaggio di generosità politica.
Leggendo questo libro, fra le altre cose, si rimane colpiti da due elementi: il primo è la diversità di mentalità: non appena poterono i comunisti italiani tentarono, ed in gran parte realizzarono, la soppressione della sinistra democratica, l’esatto contrario di quanto era stato fatto nei loro confronti; il secondo è lo spessore della riflessione politica, che non ha paragoni né nella sinistra che per guardarsi allo specchio è costretta a dimenticarsi quotidianamente, né in una destra che si mostra incapace di ragionare in termini strategici.
C’è un passaggio che ho riletto più volte, quello relativo alla vicenda dell’Achille Lauro, ed allo scontro che ne derivò con gli Stati Uniti. Noi, del partito repubblicano, vivemmo con molto disagio quello scontro, e certo non digerimmo facilmente l’idea di assicurare la libertà ad un terrorista. Con il tempo, però, non si è potuto non comprendere quali altre ragioni militavano a favore della condotta allora adottata da Craxi, ed i rapporti con gli USA, alla fin dei conti, non ne uscirono danneggiati. De Michelis visse quella vicenda, naturalmente, dalla parte di Craxi, ma oggi mostra di comprendere bene quanto essa sia costata in termini di lotta contro il terrorismo, restituendo alla sua attività criminale un uomo poi trovatosi al fianco del regime iracheno. In pratica, oggi, la pensiamo allo stesso modo. Fatto che testimonia quanto sia preziosa la riflessione politica, quanto sia bene non confonderla mai con il propagandismo e con la sua degenerazione, il settarismo.
“La lunga ombra di Yalta” è un lavoro importante. Spero che gli amanti della libertà e della verità lo leggano, magari segnandolo al fianco con continui richiami a ciò che è condivisibile in pieno e ciò che meriterebbe di essere discusso. Già perché è proprio questa la definitiva sconfitta del giustizialismo stile anni novanta: la politica, la passione, le idee e la libertà sono ancora tutte lì, pronte a fiorire ancora.