Politica

Dead parties walking

C’era una volta il bipolarismo, millantato quale avvento di uno schietto sistema dell’alternanza, talché restammo in quattro gatti a sostenere che trattavasi, semmai, d’opposti insalsicciamenti, ovvero di coalizioni a dir poco disomogenee. Ora c’è la realtà dei due grossi partiti che, sommati l’uno all’altro non raggiungono la metà dei consensi elettorali. Secondo i sondaggi, certo, e non si deve mai confondere i sondaggi con le elezioni. Difatti credo siano generosi, nei confronti dei due corpaccioni. Il Pdl e il Pd, per la verità, sono pronti per un film patibolare: Dead parties walking.

C’era una volta una legge elettorale maggioritaria, capace di consegnare agli elettori la favolosa opportunità di scegliere non solo da quale parte politica essere governati, ma anche chi avrebbe dovuto guidare il governo. Anche lì restammo in pochi matti a dire: è una presa in giro, i simboli elettorali con i nomi dei futuri presidenti del Consiglio (nel tempo uno solo a destra, tre a sinistra), addirittura le primarie per designarli, sono circonvenzione d’incapace. Ora c’è un governo che nessuno ha votato, ma che, in compenso, raccoglie la fiducia di quelli che si presentarono come alternativi. E’ lo stesso film: Dead parties walking. Che non sarebbe nemmeno luttuoso, se non fosse che a camminare verso l’epilogo non sono solo coalizioni scoppiate e partiti macerati, ma direttamente la politica.

A dei poveri cittadini si sono rivolti i sondaggisti, domandando chi avrebbero votato e aggiungendo al menù disponibile anche un “partito dei tecnici”. Risultato: il Pdl, il Pd e il Pt(?) si equivalgono, quotando ciascuno circa il 20%. La domanda è: cos’è il Pt? E questa è la risposta: il desiderio di liberarsi della politica, identificata con questi politici. Peccato che così vada al macero anche la democrazia, perché supporre che la riforma del mercato del lavoro e del fisco (per stare solo a due titoli) siano faccende tecniche è come confondere l’amore con l’androginecologia.

A fronte di ciò il giornalismo continua a presentare la politica come una specie di sitcom, che sarebbe la versione a puntate, ripetitiva e poco avvincente della sceneggiata. Da diciotto anni il protagonista principale è Silvio Berlusconi, di cui ora va in scena il ritiro: non mi candiderò nuovamente, dice, appoggio Monti. Dopo di che i personaggi minori s’interrogano sull’opportunità d’aprire un dibattito, posto che già alcune centinaia ne animarono, per poi essere smentiti dal mattatore-mattacchione. La grande fortuna di Berlusconi, sia nella vita imprenditoriale che in quella politica, è che in tanti lo demonizzano, in parecchi lo santificano, ma quasi nessuno lo prende sul serio. Invece lui è serio. In questo caso è anche il più lucido. Perché: a. fare il protagonista in Dead parties walking significa finire male; b. la seconda Repubblica la inventò lui, usando il sistema elettorale come nessuno aveva immaginato e tutti, poi, imitato, ovvero coalizzando l’incoalizzabile. Siccome non si può più, siccome quell’edifico è pericolante, l’architetto si dimostra più saggio degli inquilini e imbocca la porta per uscire. Il condomino Bersani non l’ha capito e finisce in minoranza anche sul pianerottolo.

Gira una bozza di riforma elettorale, redatta da esperti (absit iniuria verbis) dei tre partiti (i due moribondi più il successore nella mala sorte, giacché la faccenda palermitana segna anche la gran differenza rispetto all’epoca Cuffaro). Un accrocco barocco. Con quella roba non si producono maggioranze, ma due consistenti minoranze. Dalla vocazione maggioritaria a quella minoritaria. In un Parlamento ingovernabile i due minoritari darebbero vita non ad una grande, ma ad una piccola coalizione, ovvero ad una roba simile all’attuale. Non un compromesso storico, ma uno storico fallimento. Se hanno sale in zucca l’accordo esplicito devono farlo ora, usando l’anno residuo per le riforme vere, non per i palliativi autoconservativi. Stanno sprecando il solo tempo che rimane loro.

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