Politica

DegradeRai

Si guardi la Rai, per osservare lo scivolare italico, il rassegnato degradare, sussultando fra il grottesco e l’arrogante. Ciascuno dei nuovi consiglieri d’amministrazione merita personale rispetto, come anche i passati, naturalmente. Ci mancherebbe altro. Alcuni anche amicizia. Ma l’insieme no, non merita nulla. I nominati si dividono in tre categorie: a. gli indicati dal centro destra, oramai chiuso nella guerra per bande, nella difesa d’interessi particolari, nominando amici, conoscenti, inesperti o esperti che hanno fatto oramai il giro completo delle poltrone disponibili, a significare che sono pochini e sempre gli stessi; b. quelli promossi dalla sinistra, impegnata a vergognarsi di sé medesima e, quindi, alla ricerca di travestimenti, dell’improbabile e comunque non definibile “società civile”, sicché, alla fine, designa i bei volti, privi di ruolo, missione, idee specifiche, a significare che il vuoto genera vuoto; c. infine ci sono i commissariali, i nominati da Mario Monti, per giunta in violazione della procedura, perché i professori la insegnano ma non la praticano, i quali esordiscono non annunciando di dovere sfoltire alla grande una società sprecona, lontana dal suo (impossibile) ruolo istituzionale, ma di volere tassare gli italiani, imponendo il canone (odioso) nella bolletta elettrica, sicché taglieggiare è più importante che tagliare, i conti si possono sì risanare, ma a spese del contribuente. Quanti studi, quante passioni, quanta mondanità sprecati, se questi sono i risultati.

La logica complessiva è quella che pervade anche il resto della scena pubblica: accidenti, la crisi impone qualche rinuncia, la retorica antipolitica suggerisce qualche passo indietro, ma, almeno, cerchiamo di conservare il più a lungo possibile quel che abbiamo, quel che occupiamo, quel che consumiamo. C’è, in tale stato d’animo, la disperazione di chi non riesce a pensare sé stesso se non nel mondo attualmente dato, ma in esaurimento. E c’è da capirli, visto che una fetta imponente della classe dirigente, politica e non, è riuscita a invecchiare senza mai andare a lavorare.

La Rai, in ciò, è lo specchio del Paese. Si parla di tagli nella spesa alla giustizia, di chiusura dei piccoli tribunali, ma sempre con la testa alla ragioneria, senza osservare che i piccoli tribunali sono inesauribili fucine d’incompatibilità, quindi un ostacolo al funzionamento della giustizia. Ammesso che si possa chiamare tale quella italiana, che condanna i poliziotti della Diaz dopo undici anni, manda in prescrizione dei reati, con l’indulto evita a tutti la pena, ma nel frattempo ha tenuto gli odierni rei a capo della polizia. Un capolavoro. Oppure taglia, poi non taglia, poi suggerisce di tagliare i piccoli ospedali, sempre per far quadrare i conti, ma senza tenere conto della salute, che ci guadagna dalla loro soppressione, dalla diffusione di una fitta rete di pronto soccorso e dalla concentrazione di grandi ospedali con reparti specialistici. Si vorrebbe un ospedale in ogni contrada, poi ci si scandalizza se muore la partoriente, in una sala dove nascono due bambini all’anno.

Ma tutto questo cosa importa? Avrebbe senso se qualcuno parlasse al futuro, mentre qui ci si aggrappa al presente per non farsi sfilare troppo del passato. Quindi, cari italiani, beccatevi l’ennesima, inutilissima, edizione del consiglio d’amministrazione della Rai e, considerato che fa anche caldo, non appassionatevi più di tanto allo scontro politico che lo ha generato. I soldatini si sono mossi secondo copione. Gli scandalizzati sono mestieranti della spartizione. Le anime nobili sono un po’ troppo mobili. Nel complesso: non è passata l’ombra di un pensiero.

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