Politica

Demolito decreto Bankitalia

La Banca centrale europea ha demolito il decreto legge relativo alla rivalutazione di Banca d’Italia. Di quel che il governo aveva in mente non è rimasta pietra su pietra, dimostrandosi fondati e preveggenti i nostri rilievi. Posto che la superficiale acquiescenza alla propaganda ha fatto scrivere a qualcuno il contrario, ovvero che sarebbe giunto un via libera, adesso solo la vergogna nell’ammettere di avere sbagliato impedisce di bloccare la follia. Solo il generale, e colpevole, silenzio politico (del Partito democratico tanto quanto di Forza Italia) consente di nascondere la sopravvenuta (ulteriore) illegittimità del decreto legge.
Tre sono i rilievi demolitori, mossi dalla Bce. 1. Il primo sembra formale, invece è sostanziale: ci avete chiesto un parere, che era obbligatorio chiedere, il 22 novembre e avete fatto il decreto, quindi un atto legislativo immediatamente esecutivo, il 27, cinque giorni dopo. Quando non solo non avevamo risposto, ma neanche ancora letto le carte. Tanto che la risposta è arrivata un mese dopo, il 27 dicembre. Quattro giorni dopo l’assemblea degli azionisti Bankitalia, ulteriore errore. Attenzione, perché non è una questione di buone maniere, ma l’indicazione del vizio originario che il decreto legge si porta dietro, proprio per avere voluto usare quello strumento. Ci torno dopo. 2. Avete messo nel decreto che la rivalutazione porta il valore di Bd’I a 7.5 miliardi, ma a noi della Bce sembra che il valore debba oscillare fra 5 e 7.5. Ancora una volta, non è un punto formale, perché dimostra che le modalità di calcolo non sono state accettate, il che suona ruvida bocciatura. Posto, come se non bastasse, che se si va a prendere la rivalutazione fatta, per i fatti propri, da banca Carige il valore potrebbe essere di 28 miliardi. Insomma: i (presunti) tecnici hanno fatto cilecca. E lo scivolone diventa tragico in queste parole della Bce: “Bd’I dovrebbe essere sempre sufficientemente capitalizzata, e trovarsi sempre in condizione di creare, consolidare e ricostituire riserve appropriate e commisurate al livello di rischio emergente dalla natura delle sue attività, incluse le riserve costituite da utili non distribuiti”. E questi son ceffoni, perché segnalano l’inaffidabilità della documentazione trasmessa.
3. Il terzo rilievo è decisivo, perché dimostra il dilettantismo, porta un successo ai tedeschi e conferma tutti i nostri dubbi: il maggiore patrimonio portato dalla rivalutazione, destinato ad arricchire i bilanci di poche banche, non potrà farsi valere per il 2013, ma neanche per il 2014. Questo obbrobrio aveva un solo lato positivo, consistente nel mettere alcune nostre banche, le più grosse, in condizione di vantaggio prima della vigilanza europea. Tale unico lato positivo non esiste più. E il perché è esattamente quel che avvertivamo: non ci crede nessuno che le quote eccedenti il 3% (nel decreto era previsto che nessuno potesse possedere più del 5% delle quote, e che a comprare potevano essere anche banche non italiane, in sede di conversione, non ancora definitiva, è stata cancellata la corbelleria degli stranieri che comprano la nostra banca centrale e fissato il limite al 3) potranno essere negoziate, e se non sono negoziabili, se sono solo in conto vendita, non possono essere iscritte a patrimonio per la vigilanza. “Le quote – scrive la Bce – vanno registrate nelle attività detenute per la negoziazione al valore precedente l’operazione” di rivalutazione. Questo perché il decreto “non definisce le modalità di acquisto temporaneo”, da parte della stessa banca centrale. Fine. Il decreto è carta straccia.
Operazione nata male e finita come peggio non poteva. Grossolano dilettantismo e tipica furbizia ottusa. Ora, però, si spera che il Parlamento abbia il buon senso di salvare la rivalutazione, necessaria e corretta, ma cancellando il resto della follia. Tanto più che non avendo alcun effetto immediato è il decreto stesso a essere illegittimo. Altro che affitti d’oro o finanziamento ai partiti (che pure sono cose importanti), qui si assisterebbe a un ciclopico trasferimento di ricchezza pubblica in casse private, senza che questo serva minimamente a fortificare le seconde. Un regalo costoso e inutile. Una tragedia fine a sé stessa. Che altro deve accadere perché le forze politiche maggiori escano dalla sudditanza e dal vile silenzio? Questa operazione può essere fatta mille volte meglio: presentando conti solidi e portando a valori più alti; predisponendo un assetto proprietario che non cada nel portentosamente ridicolo della “public company” (by Saccomanni); tutelando l’autonomia di Bd’I, nonché un lavoro di vigilanza assai più efficace e severo di quello svolto dalla Bundesbank; e usando la rivalutazione per portare solidità all’intero settore bancario, e non solo a pochi soggetti. Si può eccome, ma non procedendo su una strada che noi vedemmo sbagliata e che ora risulta (negli unici aspetti “positivi”) sbarrata.

Pubblicato da Libero

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