Politica

di decreto in decreto

Il 23 settembre 2006 entrava in vigore il decreto legge sulle intercettazioni telefoniche, varato dal governo Prodi. Quel decreto, evidentemente ritenuto necessario ed urgente, controfirmato dal Presidente Napolitano, non serviva a proibire le intercettazioni illegali, dato che erano già un reato, ma a disporre l’immediata distruzione di quelle raccolte nel corso di diverse indagini. Era comprensibile il desiderio di evitare che il frutto di crimini divenisse lo strumento di ricatti, ma due aspetti fecero rizzare i capelli a non pochi magistrati: a. se si distruggono intercettazioni che sono corpo di reato, poi, come si fa a fare il processo ai presunti responsabili?; b. se dalle intercettazioni illegali emergono notizie relative a reati gravi, magari anche pericolosi per la collettività, perché si deve essere obbligati ad ignorarle e ditruggerle? Dubbi ragionevoli. Ma non è finita.
Subito dopo il varo del decreto, che al Consiglio Superiore della Magistratura parve ottimo e costituzionalissimo (ad inutile conferma di quanto sia politicizzato quel parlamentino corporativo), il governo disse che si sarebbe presto approvata una legge complessiva, riguardante anche le intercettazioni legali. E la cosa era plausibile, perché l’opposizione di allora si disse disponibile a facilitare il lavoro governativo, votandone il decreto. Capitò, così, che quando dei procuratori eccepirono l’incostituzionalità del decreto, chiedendo alla Corte Costituzionale come si sarebbero dovuti comportare circa la distruzione delle prove di un reato, quest’ultima ha continuamente rinviato il giudizio, che ancora non è arrivato, proprio in attesa di quella benedetta normativa generale. Ma, cambiata la maggioranza, ad opera degli elettori, occuparsi di queste materie (talora maldestramente) equivale ad attentare alla Costituzione.
Sono convinto che la gran parte delle intercettazioni legali nascono come illegali: si comincia ad ascoltare, poi ci si fa dare l’autorizzazione quando emerge qualche cosa di succoso. Se il reato proprio non c’è, si punta sullo sputtanamento (absit iniura verbo). In assenza di giustizia funzionante, un corpo istituzionale non sopravvive a lungo con questi veleni nel sangue. Alimenta il giustizialismo, mette le toghe al posto delle urne, s’incattivisce e crepa.

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