Politica

Di grazia, la grazia no

La grazia presidenziale non è la soluzione del problema politico apertosi con la condanna definitiva di Silvio Berlusconi. Intanto perché non sarà concessa. Un provvedimento di quel tipo, in ogni caso, restituirebbe libertà alla persona fisica e la toglierebbe al leader politico. Il centro destra è stato accusato infinite volte (talora a ragione e la gran parte a sproposito) di avere prodotto leggi destinate a difendere una sola persona. Ora che s’è dimostrata la permanente e prevalente forza della magistratura sul mandato elettivo, ora che si tocca un altro abisso dell’incosciente rimozione dell’immunità parlamentare (che era abusata, ma che fu poi colpevolmente e vilmente abbattuta), il problema che va posto è collettivo. Non si può risolverlo con un provvedimento necessariamente ed esclusivamente destinato a una sola persona: la grazia.

Posto ciò, ho letto con sdegno le cose che sono state dette e scritte, per avversare la grazia. Ugo De Siervo, ad esempio, su La Repubblica, ha usato concetti e parole che sono offensive per la cultura, il buon senso e per Giorgio Napolitano. Uso quelle, sia perché riassuntive della faziosità falsamente altolocata, sia perché pronunciate da chi fu presidente della Corte costituzionale (in violazione della Costituzione e con la mai tollerabile vergogna delle presidenze lampo, destinate a sacrificare la Carta sull’altare della presunzione e dell’esibizionismo personali). Secondo De Siervo tre sono le ragioni per cui la grazia non può essere concessa: primo, perché sarebbe come assentire con il fatto che la cassazione, assieme ai magistrati di merito, avrebbe perseguitato il condannato, che è tesi bislacca assai, giacché su questa base la grazia non dovrebbe essere concessa mai, visto che sempre, dicasi sempre, corregge e cancella l’intero processo di condanna; secondo, perché sarebbe un privilegio per un capo politico, dal che si deduce che secondo questa toga mal indossata non tutti i cittadini sarebbero uguali davanti alla legge, con tanti saluti all’articolo 3 della Costituzione, che egli indegnamente fu chiamato a difendere; terzo, perché il condannato è stato appena condannato ed ha altri procedimenti in corso, salvo il fatto che il presidente della Repubblica ha già concesso grazie a cittadini appena condannati e appena iniziata la pena, né la Costituzione prevede il requisito dell’assenza di altri procedimenti. Più alta è la fonte di queste tesi e più svetta la vergogna della militanza frammista a ignoranza.

Tale vergogna, però, non è bastevole a rendere accettabile il reclamare la grazia (che, sia detto per inciso, non è affatto vero che debba richiederla l’interessato, tesi fascistissima e che ignora la vicenda di Giancarlo Paietta; non è vero che debba richiederla qualcuno; può essere una scelta diretta e autonoma del Colle; e ciò non di meno non è una scelta del tutto autonoma, tant’è che Francesco Cossiga intendeva graziare Renato Curcio ma il governo rifiutò la controfirma; nel caso odierno, invece, escluso tale rifiuto, la scelta, in un senso o nell’altro, deve essere totalmente automa e silente, in capo all’uomo del Colle, ferme restando le considerazioni che seguono).

Il punto non è che Berlusconi abbia altri procedimenti in corso, ma che si è dimostrata la volontà di portarlo a condanna. La grazia, quindi, o viene data anche a futura memoria, o sarebbe transitoria e illusoria. Non ho risparmiato critiche a Berlusconi e al suo schieramento, ma considero la determinazione di affrontare la condanna senza chiedere benefici come il punto più alto della sua testimonianza pubblica. Non lo sprechino e non indietreggino, né interferiscano o schiamazzino al Quirinale. Semmai è proprio a partire da quel punto che devono porre il problema della giustizia italiana: la peggiore d’Europa, indegna di un Paese civile. La condanna non ucciderà il cittadino Berlusconi e consolida lo spessore del leader, ma la stessa cosa non si può dire delle migliaia di Mario Rossi e Rosina Bianchi, o dei loro figli minori, quotidianamente massacrati da un potere cieco e irresponsabile. Si doveva farlo prima, ma è nel loro nome che ora non si devono accettare compromessi: o si mette mano a una riforma profonda, separazione delle carriere comprese, o non c’è stabilità governativa che abbia valore maggiore. Il contrario del perdono e dell’oblio.

Non si alimentino equivoci: a. il sistema politico italiano è bloccato nell’immobilismo nonché produttore di voti d’astensione e rifiuto, la condanna di Berlusconi aggrava, ma non determina tale pietosa condizione; b. la giustizia è negata ogni giorno a tutti i cittadini, non dopo venti anni di assalti a uno solo. Gli opposti isterismi hanno fin qui conservato intatto l’inconservabile blocco. Per questa ragione non c’è stabilità governativa che abbia maggior valore del porre come necessario lo sblocco. Il tema della giustizia non può essere posposto a nulla, anche perché non c’è sviluppo senza giustizia. L’alternativa consiste nell’autodegradazione collettiva.

Pubblicato da Libero

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