Di Pietro ed Occhetto ammiccano ai passanti, sporgendosi da grandi manifesti che incollano al muro la prova della loro sconfitta. Ci si domanda solo perché essi stessi vogliano mettere il dito, la mano ed il braccio nella piaga della loro disfatta.
Il primo deve la sua fama all’avere contribuito a smantellare il sistema di finanziamento dei partiti politici. Quando ancora esistevano, quando non erano ancora stati trasformati, anche grazie a lui, in comitati elettorali e congreghe personali, e, con questi, esisteva una democrazia non trasformista. Dall’opera di demolizione fu escluso il partito comunista italiano (ed il movimento sociale), ancora allora finanziato con dollari sporchi di sangue, provenienti da una potenza militare nemica dell’Italia, della democrazia e della libertà.
L’allora procuratore inquisì, se ben ricordo, la sorella di Occhetto. Ma lo fece con garbo, con rispetto dei diritti dell’indagato. Come sempre si sarebbe dovuto fare, e come, invece, mai si fece in altri casi. L’idea era forse quella d’approdare ad una repubblica populista, con il procuratore illetterato a far da garante della sconosciuta legalità. Si sarebbe, forse, presentato con la merceds, con le scatole di scarpe piene di soldi, con gli appartamenti del comune avuti in uso, e con le mille altre pendenze di un indimenticato folklore. Ottenne, invece, nel brodoso e maleodorante calore di quegli anni, le offerte della destra e della sinistra, per poi passare al ridicolo dell’alleanza con l’uomo cresciuto con il più partito dei partiti, il più illecitamente finanziato.
Il secondo ebbe il merito di capire che il mondo nel quale era cresciuto non esisteva più. Non lo rinnegò, non ammise alcun errore rilevante, non fece alcun esame di coscienza, non provvide ad alcun aggiornamento programmatico, ma cambiò nome. Di recente ha anche cambiato modo di vestire, cercando di somigliare ad un monaco rinnegato.
Pensò di arrivare al governo baciando la moglie in modo imbarazzantemente falso, cercò poi di consolarsi pubblicando memorie lacrimevoli. Pensa ancora che verrà il giorno della vendetta, ma da dedicare non alle forze della reazione, bensì ai compagni di partito che gli diedero un calcio nel sedere. Tipico livore da parenti serpenti.
Così si ritrovano fianco a fianco: il destrorso di sempre e l’ingraiano di sempre. Testimonianza vivente, loro, il manifesto, l’alleanza, della grandezza di Petrolini, e del suo Gastone, con il guanto a penzolone ?.