Il Quirinale pre-feriale continua ad invitare al dialogo istituzionale. A sinistra dovrebbero ascoltarlo, perché l’alternativa è il massacro settario. Osservino quel che succede a Rifondazione Comunista, che ha avuto un capo, Bertinotti, che non era stato comunista (al contrario di tanti che lo sono ancora e s’affannano a negarlo) e adesso, per rivoltarsi contro la linea istituzionale e filogovernativa di quel capo se ne sono scelti un altro, Ferrero, che fu l’unico ad essere ministro, con Prodi. Sembrerebbe la condotta di un’accolita alticcia, ma la logica c’è, ed è tutta interna allo scontro nella sinistra.
Veltroni lo risolse scegliendo la rottura, destinando le forze minori alla cancellazione dal Parlamento e quella da lui guidata a trovare una posizione politica utile a gestire l’opposizione. Il giocattolo, però, gli si è subito rotto in mano, anche per suoi errori gravi. Ora si ritrova a gestire l’impossibile, da una parte sostenendo di non volere demonizzare l’avversario, dall’altra correndo appresso a tutti quelli che non fanno altro. Se Veltroni fosse ancora in grado di far politica, Napolitano non sentirebbe il bisogno di quei richiami, perché sarebbe evidente non solo l’interesse a collaborare, ma a sollecitare e spingere una riforma istituzionale che dia un assetto diverso allo Stato, avvicini l’Italia al semipresidenzialismo e corregga in senso autenticamente maggioritario il sistema elettorale. Usando l’uninominale, per dire, si ottiene: a. di cancellare le forze minori, senza radicamento locale; b. di favorire le alleanze fra forze omogenee; c. di cancellare la pessima realtà dei parlamentari nominati e da nessuno votati. Ma Veltroni è fermo, indipietrito, assente. Così andando le cose la sinistra si frantumerà in gruppuscoli, seguendo un’antica vocazione, ed il Partito Democratico oscillerà fra il richiamarli all’alleanza antiberlusconiana e lo schiacciarli acconsentendo ad una soglia di sbarramento per le europee.
Incapace di usare la sconfitta elettorale per gestire la creazione di un partito nuovo e la definizione di un programma adeguato ai tempi, la sinistra perde l’ennesimo appuntamento con la storia e vive per sé ed in sé, regolando conti di cui non importa niente a nessuno. Anche a questo si deve la debolezza del riformismo italiano.