Politica

Dignità del torto

La stampa ed il mondo politico tedeschi sono a rumore per le rivelazioni sul passato del ministro degli esteri, il verde Joschka Fischer.

Alcuni suoi compagni di un tempo, difatti, lo accusano di avere fiancheggiato il terrorismo comunista, di cui essi stessi furono esponenti. La questione ha un particolare rilievo in Germania, un paese fino a qualche anno fa ancora diviso, con una metà, divenuta più povera e dimentica d’ogni libertà, amministrata dai comunisti. Ma, a ben vedere, coinvolge un tema di portata più vasta, che riguarda molti altri paesi occidentali.

Non si tratta di contestare l’incoerenza di questi leaders politici, che, altrimenti i verdi di tutta Europa potrebbero essere impiccati a più di una loro battaglia e dichiarazione. Da noi i verdi sono giunti a guidare l’ente che produce l’energia elettrica, e quando si è dovuto affrontare il rischio delle radiazioni elettromagnetiche (per non parlare del versante paesaggistico) hanno risposto che non si è sicuri della loro nocività: tutta roba che, prima di sedere su quelle poltrone, li avrebbe fatti gridare allo scandalo. Non è questione di coerenza e, tutto sommato, non è neanche questione di codice penale, Fischer si è difeso affermando che aveva sì assaltato, armato di spranga, un poliziotto ma non ha mai maneggiato armi da fuoco. Un po’ come il vecchio Clinton, che sosteneva di avere fumato lo spinello, ma senza aspirare. Una difesa goffa che, però, si riferisce ad episodi lontani nel tempo ed a comportamenti che in quegli anni erano piuttosto diffusi (e quanti, per darsi delle arie, si atteggiarono a cospiratori e vicini alle aree più estreme della violenza politica senza, magari, che la cosa avesse alcun fondamento concreto).

Non mi pare, quindi, che neanche questa pagina politica possa essere scritta utilizzando le sentenze come materiale accettabile. Il punto vero, che il giornalismo e la politica mettono in secondo o terz’ordine, ma che ritorna sempre nelle parole di quanti da quella stagione si fecero coinvolgere in modo pieno, magari perdendo la libertà o vedendo morire i compagni più cari, il punto è quello del poco rispetto che i riusciti e gli arrivati mostrano di avere nei confronti di chi, in quegli anni, lottò al loro fianco. Intendiamoci, chiunque abbia militato nelle fila della violenza politica, o addirittura del terrorismo, vivendo in sistemi democratici, ha torto. Così come, in un contesto del tutto diverso, ebbero torto i ragazzi di Salò. Ma esiste una dignità del torto che consente di riconoscere un errore senza per questo dovere calpestare se stessi. Al contrario, molti dei riusciti e degli arrivati hanno la non dignità della ragione creata con la viltà del torto.

Si salvarono per un misto di cinismo ed insufficienza, non ebbero il coraggio dell’esagerazione e cavalcarono il torto sempre bene attenti a non andare a fondo, si sottrassero alla tragedia per egoismo e lasciarono alla disgrazia i più generosi nella follia. Joschka Fischer, quindi, come gli altri a lui simili, può pure far l’uomo di Stato dopo aver cercato di fare a pezzi lo Stato, può pure farsi assolvere da un tribunale, dopo aver sperato che tutti i tribunali saltassero per aria, può pure sfoggiare la credibilità dell’abito scuro, dopo aver sedotto con la trasgressione, ma non avendo fatto e non volendo fare i conti con il passato e con le sue radici politiche, cercando di sfuggire con sotterfugi ed ipocrisia al bilancio di una vita, agli occhi di chi gli fu vicino un tempo rimarrà sempre un traditore.

E chi tradisce i propri compagni, chi li abbandona per convenienza senza consegnare loro il dono in una riflessione spietatamente critica ed autocritica, non vedo come possa essere considerato diversamente anche da chi suo compagno non è mai stato.

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