Politica

Dimissioni e lascito

La mattina del giorno in cui il presidente della Repubblica ha rassegnato le dimissioni tutti i giornali erano già in edicola, diffusi fin dalla notte precedente, con la notizia di quel che ancora sarebbe dovuto succedere. Non era una previsione, del resto, dato che Giorgio Napolitano si è dimesso, di fatto, lo scorso 31 dicembre. Questa, però, è un’anomalia che arricchisce, se non completa, il mosaico delle anomalie.

Perché il 14 gennaio? Perché, si è detto, scritto e ripetuto, il 13 si è chiuso il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea, e fino a quel momento il Quirinale non poteva restare vacante. Ora, a parte il fatto che il Colle non resta mai senza presidio, dato che la Costituzione esplicitamente prevede l’ipotesi delle dimissioni (come di altri impedimenti), e a parte che non aveva alcun ruolo, nella gestione del semestre europeo, resta il fatto più rilevante: si è concluso anche quello il 31 dicembre, nelle stesse ore in cui Napolitano annunciava ufficialmente (seppure non formalmente) agli italiani le proprie dimissioni, e dal primo gennaio la presidenza è affidata alla Lettonia. Allora, perché aspettare quattordici giorni per formalizzare quel che era già stato reso di dominio pubblico? Tale anomalia ha prodotto distorsioni non secondarie.

Si pensi, ad esempio, al decreto legislativo in materia fiscale, approvato dal Consiglio dei ministri e successivamente “congelato”. Tale istituto, della conservazione al freddo di un’attuazione approvata, ma non trasmessa al Parlamento, ha tratti inquietanti e confusionari, talché, in condizioni normali, sarebbe stato un caso classico di possibile intervento per il presidente della Repubblica (oltre che per i silenti presidenti delle Camere, dimostrazione vivente che come Don Abbondio non poteva darsi il coraggio che non aveva, così non ci si può dare l’autonomia e indipendenza di cui non si dispone). Ma, a quel punto, il presidente era in carica, con pienezza di poteri, ma già dimessosi innanzi ai cittadini. Peccato, se il discorso e l’atto non si fossero così distanziati, almeno questo pasticcio poteva evitarsi.

Posto ciò, credo che nella gestione delle dimissioni Napolitano si sia comportato in maniera corretta. Far trapelare l’indiscrezione, che poi era una sorta di comunicato non ufficiale, e farlo a novembre, è servito a tagliare i ponti e rendere impossibile la retromarcia, avvertendo il mondo politico nello stesso momento in cui rendeva edotti gli italiani.

Perché ha ritenuto impossibile protrarre la presidenza? Non c’è motivo di dubitare delle ragioni pubblicamente ed ufficialmente addotte. Credo non siano le sole, però. Ha contato molto l’indisponibilità a ogni ipotesi di nuovo scioglimento anticipato del Parlamento. Ha pesato l’avvicinarsi delle verifiche economiche primaverili, nel protrarsi di una crisi che ancora aumenterà la disoccupazione e il debito pubblico. E ha inciso il fatto che, dal novembre del 2011, il compito ineludibile del legislatore è varare una nuova legge elettorale, che ancora non si vede. Tutto questo non ha fatto che aumentare enormemente e patologicamente il peso politico del Quirinale, portandone all’estremo la supplenza dell’altrui vuoto. Il che scarica sul Colle tensioni e contrasti che dovrebbero sfogarsi altrove.

Queste credo siano le ragioni. E questa è l’eredità immediata. Con un messaggio chiaro al mondo politico: la supplenza può ridursi e dovrebbe cessare, ma comporta che la titolarità della guida politica torni ai partiti e al Parlamento. E a guardare il panorama che oggi ci si offre, si fa fatica a crederlo.

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