A chi è stato affidato il futuro digitale dell’Italia? Non a un giovane formatosi nel nuovo territorio della rete, non a un innovatore che si sia distinto per servizi e idee capaci di cambiare il mercato, non a chi sia ricco di esperienze internazionali, dato che si tratta di un settore che non conosce confini. No, è stato affidato a chi si è formato nelle partecipazioni statali e oggi si trova in un’azienda di Stato. E’ stato messo nelle mani di chi ha cultura da monopolio statale. Questo l’indirizzo che si coglie nella scelta del governo italiano, nel mentre quello inglese, per un incarico analogo, ha chiamato Joanna Shields, fino a quel momento managing director di Facebook.
La nomina del direttore generale della nuova “Agenzia per l’Italia digitale” sarebbe dovuta arrivare, secondo quanto il governo stesso aveva stabilito, con un decreto legge, alla fine di luglio. S’è a lungo pasticciato, sia con incarichi, per la selezione, affidati ad agenzie private (confondendo il privato con il pubblico); sia con una procedura bislacca, che ha previsto la trasparenza circa la presentazione dei curricula, ma l’opacità circa le modalità e i criteri di scelta; sia con scontri fra i ministri responsabili, di cui s’è a lungo parlato e nei quali non entro, perché quel che conta è il risultato. Al primo decreto se n’è aggiunto un secondo, per garantire al nominando che sarebbero state sospese le regole dello spoil system, talché rimarrà al suo posto anche con un futuro governo (il che rende incerta la certezza del diritto e certa la futura degradazione della neonata creatura). Ora, tre mesi dopo il previsto, la nomina è arrivata, cadendo su un dirigente che è nato in Italcable, è cresciuto in Sip, s’è fatto strada in Telecom Italia ed è approdato alle Poste. Qui non ne faccio il nome (che è rispettabilissimo, ovviamente) perché in questione non è la persona, ma la scelta politica. Che considero sbagliata, per due ordini di ragioni.
Intanto perché a dirigere un’agenzia statale, che ha compiti delicati nel determinare le forniture e scegliere i fornitori, va chi ha lavorato e in questo momento ancora lavora presso società che si candidano ad essere fra i principali fornitori. Non ci vuole un palato troppo sofistico per avvertire il conflitto d’interessi. Che si moltiplica considerando che anche in Telecom e in Poste quella stessa persona ha avuto e ha responsabilità diretta nella scelta di fornitori a loro volta direttamente interessati alla sua nuova funzione. Un nome per tutti: Ibm, che fu scelta per la digitalizzazione dei servizi postali (con una spesa enorme e un blocco totale degli stessi, durato una settimana).
Poi perché la spesa pubblica per l’innovazione dovrebbe servire anche a favorire lo sviluppo di prodotti e aziende innovative, che renda più forte il tessuto produttivo e promuova la crescita di campioni nazionali capaci di affermarsi nel mondo. Ovvero l’esatto contrario dell’essere interpreti di culture e pratiche monopolistiche, ove si sono affrontati i problemi delegandone la soluzione, a pagamento, alle multinazionali esistenti.
Per digitalizzare l’amministrazione pubblica italiana non servono grandi centri di coordinamento, e meno ancora acquisti e spese. Servono tagli alla spesa inutile e abbattimento dei muri che separano un’amministrazione dall’altra. Serve partire dall’idea che il proprietario dei dati personali è il cittadino, non l’amministrazione. E serve proibire l’acquisto di prodotti e servizi concepiti per non essere utilizzabili da altri (è il caso della giustizia, dove si sono buttate vagonate di quattrini). Per favorire i nostri innovatori serve un mercato in cui si scelgano i prodotti per la loro qualità e affidabilità, non per la forza e la capacità di penetrazione di chi li produce e commercia. La gran parte dei nostri imprenditori lavora lasciando alle multinazionali il pizzo, perché sono quelle ad avere vinto gare pubbliche altrimenti inaccessibili. Salvo non fare quel che s’aggiudicarono.
La nomina del direttore della nuova agenzia era la buona occasione per far capire che chi governa ha capito. E’ andata diversamente, confermando il vecchio andazzo. Forse non è ininfluente il fatto che i tre ministri responsabili della scelta (Attività produttive, Funzione pubblica e Istruzione) sono a loro volta espressione di quella cultura statalista e monopolista, anche in considerazione del fatto che le loro esperienze sono meno aperte al mercato di quella del nuovo direttore. Cui spetta un compito assai difficile, sicché gradisca i migliori auguri.