Politica

Disgregazione in corso

Nella prima Repubblica ci si presentava divisi alle elezioni, poi ci si coalizzava per governare, nella seconda ci si presenta uniti alle elezioni, poi ci si divide nel mentre si governa. Nella seconda Repubblica, che credo sia solo la lunga agonia delle istituzioni della prima, la sinistra ha vinto due volte le elezioni, sfasciandosi subito dopo. Il centro destra le ha vinte tre volte, ha messo alla prova un mastice più forte, ma, gira e rigira, s’è sfasciato le prime due. Che succede, adesso? Occorre essere ciechi per non vedere che le premesse della spaccatura ci sono già tutte, e occorre essere assai distratti per non accorgersi che c’è chi punta sul risultato delle regionali, per regolare i conti.

Il tema dello scontro è sempre lo stesso: più d’uno cerca di posizionarsi per il dopo Berlusconi. Ho già scritto che mi pare un’impostazione sbagliata, perché questo sistema politico vive solo nel durante Berlusconi, e molti di quelli che intendono succedergli rischiano di precederlo, nell’uscita. Anche perché non ci si rafforza campando alle spalle elettorali degli altri. Fatto è, comunque, che il gioco indebolisce il governo. E non solo, perché crea una certa confusione istituzionale.

Partiamo da questa, quindi dalla posizione in cui si trova Gianfranco Fini. Egli è cofondatore del partito che ha vinto le elezioni, ed in virtù di ciò, presidente della Camera dei Deputati. Essendo la terza carica dello Stato manifesta apertamente la propria estraneità alla battaglia elettorale. Ma dove sta scritto, che il presidente della Camera non fa campagna elettorale? Ho l’impressione si faccia confusione con il Presidente della Repubblica, il quale, una volta eletto, rimane in carica sette anni. Il presidente della Camera è un parlamentare, tale e quale agli altri. Se non lavora per aggregare il consenso prepara il tempo in cui scriverà le memorie. Il suo ruolo istituzionale riguarda l’organizzazione e la presidenza dei lavori parlamentari, esercitando la quale funzione non rinuncia affatto alle proprie convinzioni (altrimenti potremmo metterci un funzionario, o un vigile urbano), ma tutela l’istituzione, quindi anche l’opposizione che la abita. Fuori da questo tipo di lavoro, è e resta un uomo politico. Per il busto al Pincio, insomma, c’è tempo.

Fini lo sa benissimo, al punto che, del tutto legittimamente, autorizza parlamentari a lui vicini a presentare una nuova organizzazione politica, esplicitamente indirizzata a sostenere la sua persona. Il che avviene proprio nel corso della campagna elettorale, e dopo avere detto che il Pdl non gli piace. Benissimo, vada avanti. Ma, a questo punto, sembra quasi che anziché sottrarsi alla campagna elettorale stia puntando sul suo cattivo esito.

Diverso è l’atteggiamento di Umberto Bossi, il quale ha fondato e guida il più vecchio partito oggi presente sulla scena, sicché può permettersi il lusso di una disciplina più schiettamente politica. Egli, infatti, non ha fatto mancare, anche in momenti difficili, gesti di lealtà e solidarietà nei confronti di Berlusconi. Ma non gratis. Nella vita, e in politica, le cose hanno un prezzo, ed il suo consiste nella progressiva erosione sia dell’elettorato che degli eletti, al Nord. Più ancora che nel Veneto è significativa la candidatura leghista in Piemonte, mentre in Lombardia le evidenti crepe del Pdl lasciano fuoriuscire consensi in direzione della Lega.

Dal suo punto di vista, Bossi fa bene. Il guaio è, però, che per governare a Roma si deve prendere la maggioranza dei voti in Italia, e quella di cui oggi dispone il centro destra se l’è conquistata al Sud, dove il rafforzarsi della Lega, anche come influenza complessiva sul governo, non desta incontenibili entusiasmi. Fino al punto di autorizzare a parlare di scissione.

In tutto questo, lo stesso Silvio Berlusconi non è esente da responsabilità. Oggi è l’unico a mettere pesantemente la faccia nelle consultazioni regionali, anche dove i candidati non sono riconducibili al suo gruppo politico, e lo fa utilizzando l’arma che meglio sa maneggiare: siamo aggrediti, è il momento di schierarsi con me, o contro di me. E, fin qui, siamo nel collaudato. Il fatto è che quando le urne si chiudono si deve amministrarne il risultato, e quelle nazionali gli hanno dato un governo ed una larga maggioranza da molti mesi, la gran parte dei quali spesi senza riuscire a dare un drizzone riformista al Paese. Egli non accetta questa critica, e replica snocciolando i risultati del governo, come le cose fatte. Ha ragione, ma deve comprendere che governare non è solo “fare”, ma realizzare pezzi di un cammino avendo illustrato il punto d’arrivo, aggregare consensi attorno ad un’idea. Ed è quello che manca. Sentir parlare di riforma fiscale da farsi subito, nel 2010, senza neanche indicazioni precise sull’ipotetico contenuto, sconforta.

Questo è il quadro, mi pare. Chi non si nutre di politica politicante si sarà addormentato leggendo, o avrà evitato di farlo. Ma senza porre rimedio all’inesorabile venir meno delle maggioranze elette sarà difficile che questo Paese imbocchi la via del cambiamento. In quanto allo stagnare, qui stagna troppa roba, e l’odore, non proprio roseo, si sente da lontano.

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