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DisPetto

DisPetto

Il Consiglio europeo è iniziato e si concluderà domani. A parte l’arrivo dello scatto in albergo, a colmare l’ansia fotografica che ha accompagnato una surreale polemica, i temi all’ordine del giorno non hanno nulla a che vedere con quelli agitati nel dibattito parlamentare che proprio il Consiglio avrebbe dovuto preparare. Il primo punto, di enorme interesse, è quello del bilancio comune europeo.

Troppo spesso si discute dell’Unione europea come se fosse una specie di gigantesca struttura statale, magari strologando a casaccio di “burocrazia europea”, ma il bilancio dell’Unione è striminzito, superando di un capello l’1% del Prodotto interno lordo complessivo. Per avere un’idea: la spesa pubblica italiana supera abbondantemente la metà del Pil (all’incirca il 57%). Dentro quel bilancio Ue è contenuta la spesa, ad esempio, per fare fronte al problema dell’immigrazione irregolare. Una volta acquisito il concetto che le frontiere esterne di ciascun Paese sono da considerarsi frontiere europee, ecco che una crescita delle disponibilità economiche è di nostro preminente interesse. Ma mentre tutti sono pronti a dire qualche cosa di rimbombante e inutile sull’immigrazione (mentre continua il palio fra buonisti e cattivisti), nel dovere discutere del bilancio europeo l’interesse si dilegua. Frontiere, centri, doganieri, respingimenti comuni? Che noia. Potendosi scegliere se considerare gli astanti come commedianti o – che è anche peggio – supponendo sfugga loro il nesso fra le due cose.

Il bilancio, del resto, torna a essere decisivo se si vuole andare avanti con la difesa comune europea, che per l’Italia sarebbe l’occasione non soltanto di rendere più efficiente la spesa, ma di vedere crescere le proprie capacità produttive in quel settore. Ma niente, il dibattito si fa su altro.

Al Consiglio si parla dell’Ucraina e del suo ingresso nell’Ue. Si può dire che su questo punto la convergenza politica italiana è pressoché totale o qualcuno si offende? Da quella splendida convergenza discendono però delle conseguenze. La prima è che continueremo ad aiutare sia economicamente che militarmente gli ucraini, altrimenti l’averne promosso l’ingresso nella famiglia europea è pura ipocrisia. La seconda è che i Paesi avversari di quell’ingresso devono essere considerati antagonisti degli interessi e degli indirizzi italiani. La prima cosa andrebbe fatta presente alla sinistra, la seconda alla destra. Ma, nel dibattito parlamentare, se le sono risparmiate a vicenda. E ci sarebbe la questione dei Balcani, che non ha avuto un centesimo dell’attenzione dei balneari.

In compenso s’è animatamente parlato di quello che non c’entrava nulla. A cominciare dal Meccanismo europeo di stabilità, il MeStrazio. La presidente del Consiglio ha agitato in Aula un fax di Di Maio, che non si capisce cosa debba dimostrare, se non che Di Maio fosse in grado di mandare un fax. Il Mes è roba negoziata e approvata dal governo Berlusconi, con Meloni ministro. Hanno fatto bene e dovrebbero esserne fieri, non provare a rimpiattarlo. La riforma è stata negoziata da un governo di cui la Lega era parte. Ora è certo che si debba ratificare.

L’altro (fuori)tema agitato è stato quello di un possibile veto alla riforma del Patto di stabilità e crescita. Non è all’ordine del giorno del Consiglio, è ragionevole se ne parli mentre altri fotografano i maggiormente interessati – Francia, Germania e Italia – e il compromesso che si prospetta è al ribasso: passano le regole rigorose, ma con una deroga di due o tre anni, ovvero quanto i governanti assisi a quel tavolo possono sperare di durare. Quando si dice la lungimiranza e la missione storica.

Ma mettiamo, per ipotesi, che si rifiuti la ratifica del Mes e si ponga il veto sul Patto. A petto in fuori. Il Paese che ha il debito e lo spread più alti siamo noi. E noi andiamo a disinnescare i meccanismi di salvaguardia? Sarebbe un dispetto ai nostri stessi interessi, ma anche al buon senso. Fortuna che, almeno ieri e oggi, si sia parlato e si stia parlando d’altro.

Davide Giacalone, La Ragione 15 dicembre 2023

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