Bel passatempo parlare delle grottesche avventure del ministro Sangiuliano, non privo di risvolti che scandagliano le asperità dell’animo umano e le superficialità del potere affasciante. Bel passatempo, ma irrilevante. Una distrazione che un felino non si consentirebbe.
Sembra più seria l’attesa relativa alle deleghe e alla vice presidenza che potrebbero toccare al ministro Fitto, presso la Commissione europea. Ma anche quella è roba di una certa superficialità: come tutti gli altri, il commissario di nazionalità italiana non rappresenterà il Paese che lo ha indicato ma la Commissione stessa. Ciascuno dei 27 componenti dell’Unione europea continuerà a essere rappresentato esclusivamente nel Consiglio europeo, mentre al Parlamento europeo sono rappresentati gli elettori europei. Non è un sofisma, ma sostanza. Comprensibile l’interesse per la sorte gerarchica del proprio connazionale ma allora è di Draghi il ruolo dell’italiano più influente, con il suo rapporto sulla competitività, che è sostanziosissima sostanza e che coinvolge interessi vivi, come la sicurezza e la ricchezza nazionali: dall’industria della difesa all’approvvigionamento energetico e alla dipendenza da fornitori extra europei.
È il rapporto sulla competitività a segnare il tempo e il modo del futuro produttivo e politico, compresi quindi gli umori di cittadini ed elettori insoddisfatti o impauriti o arrabbiati. Se una nuova fabbrica di autovetture aprirà i suoi cancelli o una vecchia li chiuderà, dipende dalla competitività, non dai galloni sulla giubba del commissario connazionale. Se il reddito reale lordo delle famiglie italiane diminuisce, non dipende dalla micragnosità ma dalla competitività dei rispettivi datori di lavoro. Pubblica amministrazione compresa. Se negli anni in cui l’arsenale finanziario del Pnrr sarà esploso la previsione di crescita della ricchezza prodotta rallenta anziché accelerare, dipende dalle condizioni del mercato interno nazionale e – ancora – dalla sua competitività. Ci si può accontentare di dire che comunque si cresce, ma è un po’ ciucciarsi il dito, perché quei fondi europei servono a fare il salto, non a trascinarsi oltre. Si può approfittare della recessione tedesca per dire che si cresce più di altri, ma oltre a essere una gara al ribasso finisce pure in fretta.
Se il Consiglio dei ministri è costretto a riconoscere di avere sbagliato e che è un bene applicare il diritto europeo e istruire le gare per le concessioni balneari, salvo poi dovere supplicare un ulteriore rinvio – che tradisce le sentenze italiane del Consiglio di Stato – motivandolo con l’incapacità di fare le gare subito, la figura che ne emerge è di improvvisazione e inaffidabilità. Promettere indennizzi a chi le gare dovesse perderle, sostenendo che gli vanno ridati i soldi che ha investito quando ci guadagnava, è come dovere restituire una macchina presa a noleggio e chiedere indietro i soldi della benzina che ci si è messa per andare in giro. Provateci, sarà divertente.
Il governo si appresta a presentare un Piano strutturale di bilancio che impegna l’Italia – l’Italia, non questo governo – per i prossimi sette anni. L’opposizione dovrebbe riuscire a spiccicare qualche pensiero in più che non sia il reclamare più soldi per qualsiasi settore o problema.
Un mondo assennato non si distrae in facezie e di queste cose dovrebbe parlare, riservando al ministro invaghito i lazzi in pausa pranzo. Invece dalle parti della maggioranza ci si preoccupa per il fatto che la sostituzione di qualche ministro apre le porte a un rimpasto di cui non si dominano gli esiti. E dalle parti dell’opposizione ci si è impantanati in quel campo che definiscono ‘largo’, ma sembra essere la larga dimostrazione di un politicismo che interessa soltanto ai campestri. È mai passato loro per la testa di provare a redigere una piattaforma comune in cinque punti? No, perché sanno di non averli in comune. In questo avendo in comune con la maggioranza la voglia di essere e permanere senza sapere perché.
Davide Giacalone, La Ragione 5 settembre 2024