Politica

Dopo gli abusi

Non sarà più possibile far passare dalla protezione civile lavori che non abbiano strettamente a che vedere con la gestione di emergenze e calamità naturali. Il circuito che ha fatto crescere una rete d’interessi e connivenze, è interrotto. Adesso, però, si deve stare attenti a non buttare il buono assieme al guasto, e si deve affrontare il problema che era stato solo aggirato, quello degli appalti e dei lavori pubblici.
Per capire la novità si deve conoscere il sistema esistente. La protezione civile è stata istituita, dopo essere già divenuta positivamente operante, con legge del 1992. Era stata posta alle dipendenze della presidenza del Consiglio, dove rimane, perché destinata ad avere funzioni necessariamente sovrapposte a quelle di diversi ministeri e amministrazioni. E si stabilì che in caso di un’emergenza dichiarata, dal Consiglio dei ministri o direttamente dal capo del governo, erano sospese tutte le norme relative ai lavori pubblici e alle competenze territoriali, talché la protezione civile potesse intervenire immediatamente e senza vincoli. Alcune esperienze sono state certamente positive, potremmo dire entusiasmanti, se non fosse che presupponevano delle disgrazie. Ma c’erano stati anche abusi, divenuti sempre più macroscopici.
Una volta dichiarato lo stato d’emergenza, difatti, fra le procedure sospese vi era anche il controllo preventivo della Corte dei Conti, addirittura cancellato. Nessuno poteva più sindacare la spesa, e neanche la procedura amministrativa. I soldi erano direttamente gestiti dalla protezione civile, che attingeva ad un fondo a sua volta finanziato dal ministero dell’economia, ma a piè di lista, senza conoscere la destinazione dei quattrini. Finché s’è trattato di soccorrere terremotati e alluvionati, niente da ridire, e sarà possibile anche in futuro, ma l’abuso è consistito nell’occuparsi anche di materie davvero difficilmente riconducibili a calamità. Come, ad esempio, le regate veliche. I controlli, a quel punto, erano solo successivi, e, come l’esperienza ha tristemente dimostrato, prevalentemente penali. A fermare il tutto non è stata la politica, ma direttamente la Corte dei Conti che, con la delibera numero 5, quest’anno, ha detto: ora basta. Si riferiva al lavori fatti presso l’isola della Maddalena, proprio in vista della regata, la Vuitton Cup, stabilendo che una cosa è la messa in sicurezza di alcuni edifici (e passi), o il sistema antincendio dell’isola (passi anche questo), o, ancora, il dragaggio del porto, visto che era stato adibito a uso militare, ma tutto il resto non passa e non si può fare. Il resto sono abusi, debordamenti di potere e invasione di competenze altrui.
In pratica la protezione civile non solo aveva preso a gestire lavori pubblici non di propria competenza, ma s’era allargata fino all’affitto d’impianti turistici, all’amministrazione di licenze e spazi commerciali, alla pianificazione edilizia, tutta roba che solo in via assai teorica, e con stiracchiamenti arditi, poteva riguardare pericoli per la popolazione. Accanto a questa esondazione di competenze, ed è cronaca di queste settimane, era fiorita un’imprenditoria che deve ancora fornire molte spiegazioni. Tutto questo, lo ripeto, è giunto al capolinea. Fine. Chiudere la fonte dei problemi penali, però, non significa avere risolto quelli che avevano provocato il guasto (né quelli derivanti da contratti in essere, illegittimamente stipulati).
Intanto occorre ricordare che il sindacato della Corte dei Conti aveva provocato dolori anche prima, quando ancora non si riteneva di poter far passare di tutto sotto la voce “grandi eventi”. Un precedente capo della protezione civile, ad esempio, ricordato come probo, si ridusse a piangere, quando l’età ed un male incurabile lo avevano già fiaccato e avvicinato all’ultima ora, perché era alta la possibilità di una condanna per danno erariale. Non fu condannato, ma solo perché morì prima. Con questo intendo dire che non è certo migliore e più onesto un sistema che scarica sui singoli il peso di agire con immediatezza e prendendo decisioni difficili. E’ giusto che esistano i controlli, ma non è giusto che possano punire una persona (e la sua famiglia) in assenza d’arricchimenti illeciti. Si faccia attenzione, altrimenti, come già succede in molti ambiti, si allevano mandrie di burocrati che puntano solo a tutelare se stessi, evitando di compiere quale che sia scelta.
Inoltre, come scrivemmo subito, non appena il vento degli scandali scompigliò un’amministrazione altrimenti conosciuta come efficiente, la protezione civile s’è allargata anche perché non funziona il sistema degli appalti pubblici, capace di ritardare di anni l’avvio di un’opera, di pagarne il costo e, pur nel rispetto delle norme e dei contratti, rassegnarsi a non vederla mai terminata e consegnata. L’Italia è piena d’opere a metà, come di ponti che terminano nel nulla e strade che non portano da nessuna parte, il che costituisce uno scandalo ed uno spreco di certo superiore al pur ripugnante spettacolo delle cricche profittatrici. E se è sicuro che il rimedio non poteva consistere nel fare dell’eccezione (ovvero dell’emergenza) la regola, è altrettanto evidente che non si va da nessuna parte senza cambiare la regola, come anche la spaventosa ed incivile inefficienza dei controlli e dei giudizi successivi.
L’uso distorto, e indiscriminato, della protezione civile fu il rimedio ad un male. La soppressione di questo sistema, ora, è il rimedio al male successivo. Ma questo Paese non può campare di mali minori o di rimedi fantasiosi. Ha bisogno di norme credibili e controllori affidabili. Al momento mancano, entrambe.

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