Politica

Dopo Haider

Fummo fra quanti non ritennero opportuna alcuna reazione europea nei confronti dell’Austria, rea, secondo molti, di aver dato troppi voti ad Haider. Quel politico carinziano non ci faceva paura, non lo trovavamo pericoloso, solo, semmai, vagamente ripugnante.

I voti li aveva presi regolarmente, la ribalta se l’era conquistata legittimamente.

Le sanzioni antiaustriache, da altri invocate, ci parvero una follia, tenuto anche presente che un provvedimento dell’Unione Europea, avverso una democratica consultazione popolare, non era solo privo di legittimità formale, ma anche di ragionevolezza politica. Haider, oltre tutto, portava quel cognome solo in Austria, ma era presente anche in altri paesi, sotto mutate spoglie personali e politiche, nel ricorrente affiorare di un’antipolitica reazionaria. Basti un esempio: i francesi si agitarono tanto, per i fatti austriaci, e qualche mese dopo si ritrovarono Le Pen al ballottaggio per le elezioni presidenziali.

Gli Haider non sono un pericolo per la democrazia, ma un sintomo dei mali che infettano la società e la politica. Gli Haider prosperano grazie a problemi di difficile soluzione, come l’immigrazione di extracomunitari, che da una parte sono necessari, che dall’altra non li si può respingere in massa senza mettere in crisi se stessi ed i propri ideali, che, da altra parte ancora, creano contraddizioni enormi nella forzata convivenza con le zone ed i ceti meno ricchi e fortunati del nostro mondo. Gli Haider, i Le Pen, i Fortuyn, i Bossi speculano su questi problemi, che, però, esistono anche senza di loro, e che loro, anzi, sollecitano la politica ad affrontare e risolvere.

Non devono far paura i leader populisti, i demagoghi, gli straparlatori delle diverse contrade europee, deve far paura, semmai, una politica che fugga le proprie responsabilità.

In Austria le cose sono andate bene: dopo la sbornia haideriana gli elettori sono tornati a dar fiducia al partito di centro, che, assai opportunamente, si è già rivolto verso sinistra alla ricerca di un dialogo. Dove la politica non fugge, vince.

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