Politica

Doveroso

Doveroso

Così come non esistono diritti che non si accompagnino a doveri neanche esistono libertà che non comportino responsabilità. Se si scindono le due cose si genera un infantilismo di massa, una collettività di irresponsabili che eleggono, quali loro rappresentanti, gli irresponsabili meglio riusciti. Quindi non basta dire «Decido io», come hanno fatto i contestatori del ministro Roccella e com’è lo slogan di quella battaglia. Occorre aggiungere: «E ne rispondo io».

Una parola sull’episodio e sulla confusione del linguaggio politico. È un diritto contestare (meglio se controproponendo), non lo è impedire di parlare. Le idee di cui più ci impegniamo a garantire l’espressione sono quelle che non condividiamo. Conservando il diritto e il dovere di contrastarle. Chi porta il tema dell’aborto in una sede ove si discute di natalità ha una qualche possibilità di essere preso sul serio se manifesta contro la legge che regola l’aborto, considerandola un attentato alla vita e alla procreazione. Se invece manifesti a difesa della legge, hai all’evidenza sbagliato posto, perché la liceità dell’interruzione di una gravidanza – nei tempi e nelle forme previste dalla legge – non può e non deve essere messa in relazione, né per subordinarla né per sovraordinarla, con la natalità. Infine occorre ricordare a chi governa che la censura è attività che può svolgere solo chi detiene un potere, mentre impedire ad altri di parlare non è una censura ma un sopruso. Sarà pur pedante soffermarsi su queste cose, ma le parole sbagliate nelle sedi sbagliate spesso tradiscono idee sbagliate. O almeno confuse.

Posto ciò: la legge che regola l’aborto esiste, nessuno dice di volerla cambiare, inviare nei consultori i predicatori di vita fa soltanto venire voglia di passarla altrove, ma la questione principale è e resta rendere effettivo l’esercizio di quanto la legge consente e regola.

Fra i doveri di cittadinanza non è compreso quello di prolificare. Fare o non fare figli resta una scelta della coppia e non ha alcun senso allestire predicozzi atti a smorzare qualsiasi entusiasmo riproduttivo. Ma se queste scelte si fanno individualmente, la loro ricaduta la si vive collettivamente. Una società affluente e ricca può ben vivere e prosperare anche con la denatalità, ma dev’essere consapevole delle conseguenze: destrutturazione dello Stato sociale e necessità di un numero sempre crescente di immigrati. Negare e frignare non serve a niente, tanto poi vengono votati e vanno al governo quelli che sono contro l’immigrazione e nell’anno che passano al governo gli immigrati aumentano. Volendo si può anche votare in massa contro la forza di gravità – un bel plebiscito liberatorio – ma poi non si spicca il volo perché il popolo è sovrano e ha sempre ragione, ci si schianta al suolo perché le cose sovranamente sbagliate tali restano.

Noi europei siamo sì e no il 6% (calante) della popolazione globale, siamo i più ricchi e consumiamo più spesa sociale di quanta se ne consumi negli Stati Uniti. Ne andiamo fieri, a giusta ragione. Ma non è una condizione di natura, bensì una proiezione della continua crescita economica e demografica. Se quel meccanismo si arresta devi cambiare il modello sociale, non pensare che la tiritera dei diritti abbia un senso solo perché la vai ripetendo.

In un luogo dove si discute della natalità si può ben portare una contestazione, ad esempio rammentando che dove ci sono meno asili nido c’è anche meno richiesta di usare i fondi del Pnrr per costruirli, sicché la denatalità alimenta sé stessa. Dove si parla di equilibri demografici ci sta eccome che si vada a protestare per il debito pubblico crescente, giacché la possibilità di ridurlo percentualmente risiede solo in una crescita che richiede più lavoratori e più qualificati. Nel contestare c’è il dovere di indicare, non può esserci soltanto la pretesa di rivendicare.

Quel passaggio, insomma, non è (solo) un problema di buona creanza, ma anche di poca sostanza del nostro dibattito pubblico.

Davide Giacalone, La Ragione 11 maggio 2024

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