Politica

Due lati positivi

Abbiamo dormito un’ora di meno. C’è in giro gente che soffia sul fuoco, nel mentre andiamo verso un periodo comburente. Martedì commenteremo i risultati elettorali, nei quali ciascuno potrà leggere la vittoria che gli fa comodo: il centro destra perché avrà più regioni da amministrare; il centro sinistra perché sosterrà di averne conservate più del previsto; il ribellismo fasciogiustizialista perché avrà imposto la propria presenza e s’accrediterà, del tutto a sproposito, gli astenuti. Pertanto, in questa domenica primaverile, prima di liberarci della pallosissima campagna elettorale, tanto rumorosa quanto vuota, mi concentro sui suoi lati positivi. Che sono due.

Il primo è relativo alle tasse. Non fatevi illusioni, tenete a freno gli entusiasmi, non è cambiato niente. Ma se, da una parte, Silvio Berlusconi promette che ci saranno meno addizionali regionali, così come ha sempre sostenuto debbano esserci meno tasse in generale, Pier Luigi Bersani, dall’altra, ha denunciato l’eccessiva esosità del fisco italico. Evviva, adesso sappiamo che la matematica non è proprio del tutto un’opinione. Questo è il lato positivo, ora si tratta di metterlo a frutto.

Bersani non è propriamente quel che si definisce un capo. Gli manca la stoffa del decisore, così come quella del suggestionatore. E’ una persona ragionevole, però, il che deve averlo aiutato a capire che la sinistra politica s’avvia a parlare solo con se stessa. Gli è servito, credo, andare fuori dai cancelli della Fiat, creando una situazione piuttosto imbarazzante. Lo accompagnava una Mercedes Bresso, sciallata di rosso, che, per rispondere alle battutacce di Berlusconi intratteneva le telecamere su quanto e bello suo marito (ve lo ripeto ancora una volta: non provate a inseguire Berlusconi, tanto perdete, non avete fiato, evitate di stare al suo gioco, allontanatevi dai terreni che sceglie, fate politica, insomma). E mentre questa scena surreale veniva ripresa, gli operai sfilavano davanti a Bersani senza neanche fermarsi, talora rispondendo al “ciao” del segretario, magari agguantando il volantino. Si percepiva, anche via internet, la distanza. E pur lasciando perdere l’operaio che s’è lamentato perché certe visite capitano solo in campagna elettorale, guarda un po’ il caso, è mancato il riconoscimento, il calore, l’essere “compagni”. Come mai? Perché quegli operai non si sentono rappresentati dai sindacati, figuratevi dai partiti. Perché quegli operai non somigliano neanche lontanamente all’idealtipo propagandistico del sinistrismo in ritardo di un secolo, e se c’è una cosa che non sopportano, giustamente, è di vedere una fetta troppo consistente del loro lavoro sequestrata per pagare le spese di un apparato burocratico, clientelare e politicizzato, di cui farebbero volentieri a meno. Bersani ha capito che, com’è avvenuto in altre regioni, il rischio è quello di perdere il contatto e i voti, magari per cederli alla Lega.

Per gli uni e per gli altri, per la destra e per la sinistra, si tratta di passare dalle parole ai fatti. Siccome siamo tutti brava gente, ma non necessariamente fessi, chiariamo subito che non solo non ci sono soldi per scialare, ma è probabile si debba presto scodellare una di quelle “manovre” che, per non portare aumento delle tasse (ci mancherebbe!), imboccano la via del taglio delle spese. E siccome la spesa corrente sembra incomprimibile, alla fine si taglia l’unica utile, quella per investimenti. Da questo circolo vizioso si deve uscire. Non è facile, neanche da illustrare, pertanto rimando i lettori ad una riflessione specifica, la settimana prossima. Stiano attenti, però, perché se ci si limita a denunciare la rapacità fiscale, senza sapere porre rimedio, si dimostra d’essere inutili. Quindi da cacciare.

Il secondo dato positivo riguarda i giornalisti. Ho già scritto quel che penso delle santorate, e mi pare che l’ex maoista abbia già avuto in regalo fin troppa pubblicità. Se la goda. Si aggiunga che, prima della chiusura della campagna elettorale, l’ordine dei giornalisti ha sospeso Vittorio Feltri, per sei mesi. Non sprecherò neanche una parola nel riassumere il perché e il per come, tanto è irrilevante e non importa un fico secco a nessuno. Ci arriva anche un beota a capire che se scrivendo commetto dei reati ne rispondo in tribunale, se manifesto delle opinioni mi dovete lasciare in pace, e se dico delle boiate potete direttamente non leggere (o non pubblicare, nel caso non si sia direttori).

In tribunale ci sono andato, per difendere le mie idee, e quel gruppo di burocrati inutili e politicizzati, pagati e superflui, schierati e tremuli, conformisti e lecchini, che siedono all’ordine dei giornalisti non spesero una parola. Ho combattuto, ho rischiato e ho vinto da solo. Sicché, quell’ordine si può sciogliere, quella baracca può chiudere. La libertà può farne a meno, anzi, può crescere grazie a quella cancellazione. E anche la qualità professionale se ne gioverà perché, facendo cadere le barriere protezioniste ed egoiste, potrebbero entrare giovani capaci, entusiasti, e che, magari, conoscono la lingua italiana.

Questi sono i lati positivi. Se proprio non bastano per darsi al giubilo, almeno inducono al domenicale buon umore. Ora non resta che votare, e, nell’andare, mediterò sull’ipotesi che non sia casuale la fissazione della data nell’unico giorno dell’anno in cui si è più assonnati.

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