Politica

E’ finita

Dice Umberto Bossi che non ci sono i numeri per andare avanti. La Lega pazienta, ma non certo all’infinito. Dice Silvio Berlusconi che andrà avanti fino alla fine della legislatura, senza troppo sottilizzare sulla possibile alternativa: sarà il governo a durare fino al 2013 o sarà la legislatura a durare quanto il governo. Questione di settimane. Dice Roberto Formigoni, e altri con lui, che non c’è ragione di temporeggiare: si sbarchino i finiani, già gettatisi da soli, e s’imbarchi l’Udc, in modo da potere far vivere un nuovo programma e un nuovo governo. Si può cercare di segnalare quel che distingue e allontana queste posizioni politiche, ma, in realtà, sono tutte frutto dello stesso albero: è finita la seconda Repubblica.
Il caos istituzionale, che accompagna, da anni, la lunga agonia della Costituzione, da cui nacque la prima Repubblica, ha già impedito di scriverne una nuova, rendendo legittima la nascita della seconda, e impedisce ora di adeguare la Carta ai tempi e alla realtà, dando forma alla terza. Ma ciò non significa che il non seppellito sia vivo, bensì solo che il cadavere non è stato tumulato. Della seconda Repubblica, quindi di questi nostri tempi politici, si potrebbe dire come di quel tale colpito da spada affilata: andava combattendo ed era morto (erroneamente attribuito a Ludovico Ariosto, in realtà frutto della penna scherzosa di Francesco Berni, e, in ogni caso, anche in questa confusione di paternità ben adeguato a quel che descriviamo).
La seconda Repubblica non ha, appunto, una genesi costituzionale, ma politica. S’identifica con il bipolarismo. Peccato non abbia mai funzionato: chi vince non riesce a governare e, caso unico al mondo e nella storia, il governo non ha mai vinto le elezioni. Nella versione suina (porcellum) avrebbe dovuto trovare il collante del premio di maggioranza: è scattato due volte e due volte non ha funzionato da stabilizzatore. Quindi, ancora oggi, il governo Berlusconi può scegliere: chiudere la partita e andare alle elezioni, allargare la maggioranza o vivere raccattando relitti. In tutti e tre i casi la seconda Repubblica mostra il suo fallimento: nel primo perché non solo non garantisce la governabilità, ma l’ha fatta divorziare dalla stabilità; nel secondo perché una nuova alleanza con Pier Ferdinando Casini sarebbe la negazione della natura stessa del sistema elettorale; nel terzo perché vivacchiare e vivere non sono sinonimi, in ogni caso non coincidono con il governare.
Quel che conta, però, non è la diagnosi: il cuore batte, magari artificialmente, ma il cervello è andato. Bensì la terapia per uscire dall’incubo: le forze politiche la smettano di parlare solo d’alleanze, producendo disinteresse, quando non urticante fastidio, e provino a dire qualche cosa sul nuovo modello costituzionale da adottare. Chi non ci riesce, chi è capace solo di parlare il politichese delle coalizioni senza politica, è destinato a far la fine delle spose indiane d’un tempo: sulla pira assieme al trapassato marito. Se il nuovo anno iniziasse discutendo di questo tema, preparandosi a portare le diverse idee davanti agli elettori, il 2011 non nascerebbe dando la pessima impressione d’essere l’ennesimo del passato, anziché il primo del futuro. Discutere dei modelli costituzionali non è un modo per buttarla in accademia (ammesso che ancora ne esistano), ma per dare coerenza a quel che si dice sul governo, sul legislatore, sulla giustizia, sul mercato del lavoro come su quello dell’istruzione. Altrimenti restiamo nel frullatore delle idee prese a casaccio, buone per qual che giorno, inutili a tutti.
Il centro destra deve capire che si può salvare il sistema maggioritario, istituzionalizzandolo in modo serio, ma non un bipolarismo di cui essi stessi non sono capaci. Il centro sinistra deve riconoscere che senza un governo dotato di più poteri e un nuovo equilibrio costituzionale l’Italia è destinata a restare senza guida, chiunque vinca le elezioni. So bene che c’è un interesse collettivo a far finta di nulla, conservando il presente per conservare se stessi, ma i cadaveri, alla lunga, oltre ad essere tristi puzzano. E qui l’aria non profuma.

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