Paolo Pillitteri ha ragione, e sulla legge elettorale la penso esattamente come lui (oggi do alla luce un libricino con il quale spero di gettare il ridicolo su questa moda sciocca del “o di qua o di la”).
Non penso che il papa migliore sia quello che mette al rogo gli atei, in modo da fortificare nelle genti il sentimento anticlericale; né, desidero rassicurare i miei familiari, ho sviluppato alcuna passione per l’innegabile fascino di Rosy Bindi (la quale, oltre tutto, fece il pessimo lavoro di contribuire alla distruzione del proporzionale). Ma il problema Veronesi è radicalmente diverso.
Passi per il non attaccarsi ai formalismi, ma Pillitteri stia attento a non abbandonarsi al sostanzialismo. Io non ho contestato questa o quella affermazione di Veronesi (ho detto di condividerne molte e di considerarne altre gravemente sbagliate), ho contestato il diritto di Veronesi, come di qualsiasi altro ministro, di avere una linea politica personale e diversa da quella del governo. Ed ho mosso la contestazione non a partire da mie opinioni, bensì dalla lettura della Costituzione. E’ grave, è gravissimo che arrivino al governo persone che ignorano i confini entro i quali l’azione ministeriale può e deve muoversi.
Se un ipotetico governo vuol nazionalizzare il commercio delle caramelle ed il ministro del tesoro vuole invece liberalizzarlo, non mi trovo davanti ad un governo nemico ed un ministro amico, bensì davanti ad un governo nemico ed un ministro fuori dal dettato costituzionale. Che, poi, quel ministro mi sia simpatico ed amico, è cosa diversa.
Detto questo, il trasformismo ed il saltimbanchismo sono sempre esistiti, solo che una volta si aveva il pudore di celarli, se ne provava una certa vergogna. Oggi li si applaude sulla pubblica piazza; si levano inni di gioia quando l’ennesima capriola viene fatta; si esulta per il virtuosismo del trasloco; si va in solluchero per l’indisciplina di partito ed il deragliamento istituzionale. S’inneggia al coraggio conformista di beccarsi anche gli applausi. Ho solo fatto un fischiaccio, non volendomi spingere fino all’insegnamento eduardiano che così calorosamente accolse il nobile motorizzato che voleva si sbarazzasse il vicolo.