Non essendoci un solo governante europeo che sia contrario allo sviluppo e all’occupazione, come non ve n’è in nessuna parte del mondo libero, questo è un punto sul quale non è stato difficile trovarsi d’accordo, all’Ecofin (cui prendono parte i ministri economia e finanza dell’Unione europea). Pier Carlo Padoan è stato bravo nel ricordare i punti di forza delle nostre finanze pubbliche, purtroppo materializzando una contraddizione: in assenza di tagli profondi nell’organizzazione statale, quindi della spesa pubblica, i nostri esemplari avanzi primari sono dovuti al crescere della pressione fiscale, che è l’esatto contrario di quel che serve per favorire la crescita dell’economia e dell’occupazione. Anche nel 2014 il fisco crescerà più del prodotto interno lordo. Autofagia.
Non so per quale ragione i governanti italiani si dedicano allo sforzo di far apparire il cancelliere tedesco come una specie di promotore dell’elasticità e del lassismo finanziario, solo a stento trattenuto dalla banca centrare e da qualche rigorista sadico. Non ha molto senso. La sintonia fra il governo italiano e quello tedesco è dovuta al fatto che nessuno chiede di modificare i trattati o di venire meno ai loro vincoli, ma solo di leggerne tutti gli aspetti, anche relativi alle attenuazioni temporali (mai quantitative o sostanziali) nella loro applicazione. E’ la tesi tedesca, nonché l’unica legittima. Le conclusioni dell’Ecofin confermano questa tesi: nulla è concesso fuori da quanto è già previsto e nessuna spesa può essere contabilizzata in modo da non rientrare nel conto del deficit e del debito. Chi sperava in conclusioni diverse sperava nel nulla, come qui ripetutamente abbiamo avvertito. Anzi, l’Ecofn, nelle raccomandazioni relative al Paese, vede la necessità di sforzi aggiuntivi già nel 2014. Che sarebbe la manovra correttiva, dal governo negata fino a ieri.
In queste condizioni, semmai si dovrebbe usare quella dottrina del rigoroso rispetto dei trattati per aggredire le rendite tedesche sia in termini di finanziamento del loro debito e d’importazione di risparmio, sia di surplus commerciale fuori da ogni parametro. Quest’ultimo aspetto contribuisce a tenere alto il cambio dell’euro (dato che crescono le loro esportazioni, come le nostre, verso l’area extra-Ue), neutralizzando il contrasto già avviato dalla Banca centra europea. Crederò che il governo tedesco avrà mutato atteggiamento non quando si ripeteranno le gnagnere sull’elasticità, ma quando li sentirò dire che quel cambio deve scendere e l’inflazione salire.
Dire che Jens Weidmann (presidente della Bundesbak) non fa parte del governo tedesco è una battuta che lascia il tempo che trova. Intanto perché ne fa parte Wolfgang Schaeuble (ministro dell’economia), che di rigidità può dar lezioni assai più che prenderne. Poi perché la Buba ha un peso assai rilevante nel sistema tedesco, al punto da avere provocato una sentenza della Corte costituzionale che impone al governo di passare dal Parlamento per ogni modifica politica che sposti un centesimo all’interno dell’Ue. E mentre il dibattito sulla riforma della nostra Costituzione è aperto su tanti di quei fronti da dubitare che, alla fine, ne resti altro che il titolo, in Germania neanche ci pensano, a cambiarla.
Le riforme che dovrebbero innescare la flessibilità non sono quelle che affollano le prime pagine dei nostri giornali. I senatori possiamo pure tirarli a sorte e poi selezionarli al Colosseo, senza che questo sposti di un capello i conti (lo so, si dice che riformare il Senato serve a far funzionare meglio il sistema, come riformare la giustizia, la scuola, la burocrazia, etc. etc., ma i vincoli di bilanciano scattano con la prossima legge di stabilità, a ottobre, mica negli anni a venire). Non basterà dire supercalifragilistichespiralidoso, per indurre stupore e ammirazione, perché c’è gente gretta in giro, che guarda i numeri e i fatti. I primi sono troppo alti e i secondi li cerchi con la lente d’ingrandimento.
Se l’Italia fosse solo il nord, e qualche regione del centro, sarebbe già fuori dalla crisi. Avrebbe numeri migliori della Germania. Ma non sarebbe l’Italia, bensì un protettorato degli imperi centrali, destinata a perdere sovranità territoriale o essere spinta allo scontro (il prossimo fanno 100 anni …). Il meridionalismo querulo e piagnone, fatto di spesa pubblica improduttiva, ha prodotto disastri morali, sociali ed economici. Sarebbe saggio passare a politiche fiscali e salariali capaci di spingere alla delocalizzazione verso il meridione, anziché verso l’Austria. Il minore gettito immediato sarebbe la promessa di maggiore sviluppo (e gettito) futuro. Buona ragione per chiedere flessibilità. Ma di tali politiche non vedo traccia.
Pubblicato da Libero