Politica

Elettoralmente parlando

Si dice che chi ha idee parla di cose, chi non le ha spettegola delle persone. Traducendo in politica: i primi parlano di sistemi istituzionali, i secondi di sistemi elettorali. In tutti questi anni s’è dipinto un tale arcobaleno di corbellerie da escludere che ci s’appassioni a discussioni falsamente accademiche, la sostanza è semplice: in assenza (tocchiamo ferro) di cataclismi economici questa è l’unica materia sulla quale si può far finta di costruire una maggioranza diversa da quella voluta dagli elettori, prendendo a scusa il tema istituzionale. Massimo D’Alema lo ha detto: “o andiamo a elezioni, oppure serve un governo che si occupi di cambiare la legge elettorale”. Il fatto che la legge elettorale non sia materia di governo la dice lunga su quanto sia solo una foglia di fico.

I sistemi elettorali sono come i vestiti: salvo estrosità, non ce ne sono di belli o brutti, ma di adatti o meno, che stanno bene o no. La prima caratteristica che un sistema elettorale deve avere è d’essere coerente con il modello costituzionale nel quale opera. Il nostro attuale sistema manca di questo requisito, perché è maggioritario e presidenzialista con una Costituzione concepita per il proporzionale e il parlamentarismo. Non può funzionare e, difatti, non funziona. Si potrebbe dire: torniamo al proporzionale. Il cielo ci guardi. Dopo venti anni di fascismo quel sistema seppe far rinascere le famiglie politiche risorgimentali, affiancandole ai nuovi partiti di massa. Adesso, dopo diciannove anni di sfascismo, morti i partiti politici, degenerati in proprietà personali, servirebbe a trasferire in Parlamento il potere di ricatto delle minoranze, più di quanto già accade. Uno scilipotismo istituzionalizzato, di cui non s’avverte il bisogno.

I teorici, non strumentali, del proporzionalismo commettono un enorme errore politico: ritengono che l’elettorato più affidabile ed evoluto sia quello liberatosi dai due poli, dove, invece, a me pare quello più estremista e inutilizzabile. Il terzo polo becca teste e lische, mentre il bipolarismo soffre per mano dei suoi prodotti e alleati. L’elettorato moderato e ragionevole, quello che desidera governi stabili e non considera apocalittico un avvicendamento, è ancora dentro i grandi partiti, oltre ad essere la larga maggioranza.

Allora, se l’ambizione è quella di farsi eleggere e potersi vendere al meglio, è giusto che ci si occupi di sistemi elettorali, ma se si pensa al governo e agli interessi del Paese è bene occuparsi di sistemi istituzionali. Io stesso, che sono figlio di una famiglia minoritaria, penso sia utile rivolgersi a tutti i ragionevoli, mica agli adepti che garantiscono la mera sopravvivenza (ammesso che esistano ancora). Ciò significa che è compito e dovere dei due grandi partiti trovare il filo conduttore della riforma costituzionale, secondo le regole già scritte, in modo da assecondare interessi e desideri dei loro stessi elettori. Poi si deciderà quale sistema elettorale sarà meglio mettere al servizio di quel nuovo ordito, inevitabilmente spostato verso maggiori poteri decisori in capo al governo e maggiore libertà legislativa e di controllo per i parlamentari (il cui numero può abbondantemente ridursi).

Il chiacchiericcio odierno è una finzione, una scusa, l’ennesimo tentativo di allestire una trama che serva a regolare i conti del passato e salvare le chiappe dei presenti. Facciano, con questo materiale, un bel proporzionale, così mandiamo al governo gli smandrappati coalizzati, oppure prendiamo in giro gli elettori e votiamo per poi dare vita al governo di salute pubblica, che vanifichi la loro volontà. Merkel, Sarkozy, Cameron e persino Zapatero governano dopo avere perso le elezioni amministrative, perché questo è reso possibile dal sistema istituzionale. Da noi non si governa neanche quando si vincono.

Condividi questo articolo