Il nostro presidente della Repubblica (presidente perché eletto, nostro perché italiani) è un cattolico moderato, tendenzialmente bigotto, il cui nome è stato usato per ricompattare la sinistra e ridicolizzare la destra. Sia quella al governo che quella nazzarena. L’arma delle elezioni anticipate è ora totalmente nella mani di Matteo Renzi, che trionfa su tutti i fronti. Non la userà, se nessuno intralcerà il suo cammino e contrasterà l’affermarsi di una primazia partitica e governativa. La userà in caso contrario, sapendo che i suoi avversari non sono in grado di contrastarlo. Chi pensasse, per indebolirlo, di usare i problemi seri e le difficoltà che attendono l’Italia, sarebbe un matto, capace solo di regalargli la rappresentanza esclusiva dell’elettorato ragionevole. Perché questo è il punto: l’elettorato moderato perde rappresentanza. Quella che aveva è ora addomesticata o tramortita.
Perché un cattolico moderato sia, ancora una volta, bandiera della sinistra, è questione che riguarda la natura profonda dell’Italia. Non si può liquidarla in poche righe. Diciamo, con un Roberto D’Agostino d’antan, che il rifiuto dell’“edonismo reganiano” è consustanziale al rifiuto del mercato e al sogno di coprire le pudenda dei conflitti così come delle cantanti. La scena, comunque, è chiara: il nostro presidente arriva al Colle cavalcando un’onda che gli illusi credevano si fosse infranta sulle alte scogliere della seconda Repubblica bipolare e, invece, ne ha superato i ciotoli e dominato gli eventi. Rieccoci qui.
Ci sono gli orfani, però, e sono gli elettori moderati. I conservatori non reazionari. I progressisti non sinistri. Quelli che, essendo larga maggioranza, hanno dato il senso e la sostanza all’Italia della prima Repubblica. Ora i suoi pretesi rappresentanti s’apprestano a essere piallati alle elezioni regionali. Dove la loro sconfitta non è sicura è solo perché la Lega ne prende la guida. E tutto si può sostenere, condividendo o meno le posizioni di Matteo Salvini, ma non che uscire dall’euro, ripudiare l’Europa e allearsi con la destra francese abbia granché a che vedere con la rappresentanza dei moderati. Ma il problema, a scanso d’equivoci, non è mica Salvini. Il problema sono Silvio Berlusconi e Angelino Alfano. Il primo contraente di un patto che lo ha sfondato al petto. Il secondo alleato governativo di chi non sente neanche il bisogno non dico di consultarlo, ma di avvertirlo. Anche in questo caso: rieccoci qui.
Ventitré anni fa si distruggeva un mondo politico e ci si domandava cosa e come si sarebbe tenuta assieme la classe dirigente italiana. Berlusconi fu la risposta: federando il centro destra e dando una ragione d’esistenza al centro sinistra. Capolinea. Il suicidio moderato consisterebbe nell’abbandonarsi all’antirenzismo, come la sinistra fu posseduta dall’antiberlusconismo. La frammentazione prelude al mero galleggiamento, dato che le leggi elettorali (l’esistente come la riformanda) lo assicurano ai perdenti sminuzzati. Perdenti perché frammentati e frammentati per potere essere rappresentati nelle diversità.
Il bipolarismo, ammesso che esista e che sia nel destino italiano, non è compatibile con un simile vuoto. Occorrono idee e personale. Nuovi. Le idee ci sono, tutto sommato. Le persone, non lo so. Vedremo.
Pubblicato da Libero