Le elezioni politiche anticipate faranno slittare i tre quesiti referendari sul sistema elettorale. I referendari se ne lamentano, ma, forse, in questo modo il lavoro da loro svolto assume un valore ancora maggiore. Il referendum, difatti, non è in nessun caso lo strumento adeguato per ottenere una buona legge. Non lo è stato neanche in passato. Anche oggi, se dessimo per acquisite le tre vittorie dei “sì” ci troveremmo con un Parlamento identico, ma i cui componesti sono eletti con premio di maggioranza, in tutti e due i rami, sulla base non di liste coalizzate ma singole. In altre parole: quella che ieri si chiamava “coalizione” domani si chiamerebbe “lista unica”, ed alla prima crisi di governo si riproporrebbe il problema che abbiamo oggi: che legittimità hanno i parlamentari eletti grazie al premio, nel momento in cui cambiano schieramento? Questa osservazione, sia chiaro, non è una critica al comitato promotore, perché quello non ha potuto che muoversi con gli strumenti che la legge gli mette a disposizione, quindi solo per via abrogativa. Ma è un errore credere che quel risultato sia soddisfacente in sé.
Lo penso fin dall’inizio, ed è una delle ragioni per cui, fin dall’inizio, mettendo nel conto i timori per la pronuncia della Corte Costituzionale, prevedevo le elezioni anticipate in primavera. Avere raccolto le firme, però, è stato non solo utile e meritorio, ma decisivo per porre la questione ad un riottoso e negligente mondo politico. Solo grazie allo spauracchio dei referendum le forze politiche hanno provato a cambiare la legge elettorale, ed è sempre grazie ai referendum che il tentativo Marini ha avuto quel tema al suo centro (benché fosse del tutto improprio), ed è in virtù di quelli che il fallimento di Marini porta alle elezioni. E non finisce qui.
Voteremo, eleggeremo il nuovo Parlamento, dopo di che quello dovrà cambiare la legge elettorale. E dovrà farlo subito, perché alla primavera successiva i referendum sono sempre lì. Non solo: si potrebbe chiedere alle forze politiche di promettere, durante la campagna elettorale, di fare quello che i socialisti di Craxi imposero quando si trattò di votare sulla responsabilità civile dei giudici, ovvero convocare i referendum in autunno. Questo non per mettere inutilmente fretta, ma perché sia chiaro che la prossima legislatura o avrà caratteristiche costituenti o sarà ancora del tempo perso. E per imporre agli eletti la necessità di quel dialogo istituzionale che è invocato solo quando i vincitori elettorali si ritrovano prematuramente spompati.
Insomma, questa primavera non voteremo i referendum elettorali, ma il successo dei referendari, ed il loro peso, si propaga nell’immediato futuro e la questione non resta solo aperta, ma anche urgente. Non è il caso, quindi, che si profondano in lamentele che, oltre un certo limite, sono stucchevoli.