Politica

Elezioni scombiccherate

Si chiamano elezioni europee, ma non sono europee manco per niente. Inutile lamentarsi del fatto che in ciascun Paese si svolge una campagna elettorale dialettale, perché sgrammaticata è la chiamata stessa degli elettori a votare il medesimo Parlamento, ma senza uno straccio di regola comune.

E’ diversa l’età minima per avere diritto al voto: 18 ovunque, ma 16 in Austria. Diversa l’età per candidarsi, che va dai 18 ai 21, 23 e 25 anni (come in Italia). E’ diverso il sistema elettorale, perché la definizione dei collegi segue regole e tradizioni esclusivamente nazionali, così come è diversa la modalità di assegnazione dei seggi. E’ diversa la soglia di sbarramento, che da qualche parte non esiste e da altre è del 4 o del 5%. Sono diverse le regole per le preferenze, con noi italiani che costringiamo gli elettori a non votare chi vorrebbero, ma a doversi piegare all’insensatezza delle quote di genere (che è il massimo del sessismo immaginabile, giacché vorrei sapere in quale sesso stanno gli omosessuali dei diversi sessi). E’ diversa anche la data del voto, perché il regolamento dell’Unione stabilisce che si può votare dal 22 al 25 maggio, così che i risultati inglesi e olandesi saranno noti quando andranno a votare irlandesi e cechi (è vero che lo scrutinio avverrà domenica, ma sono già disponibili gli exit poll e l’accoppiata con le amministrative anticipa l’orientamento degli elettori), e i loro risultati, sommati ai precedenti, saranno noti a lettoni, maltesi e slovacchi, i cui risultati saranno noti, sommati ai precedenti, ai rimanenti elettori, che chiuderanno la fiera con l’urna domenicale. Se si voleva dimostrare che l’Europa è uno scherzo non si poteva decidere con più coerenza.

Durante questa campagna s’è sentito di tutto, con i supposti europeisti che raccontano un processo europeista da barzelletta. Già che il Manifesto di Ventotene viene attributo al solo Altiero Spinelli, facendo sparire quel gran liberale e anticomunista di Ernesto Rossi, come il ruolo di Eugenio Colorni. Allo Spinelli medesimo viene attribuito il ruolo di costruttore dell’Europa politica, quasi contrapponendola a quella economica. Chi glielo spiega a questi che Spinelli era favorevole ad un’Europa a “geometria variabile”, intendendo con questo che ciascuno avrebbe dovuto aderire gradualmente alle regole federali? Il fatto è che la scena del voto ci restituisce un’Europa a geometria improbabile.

Di più: nei simboli elettorali si trova il nome del candidato alla presidenza della Commissione europea, che, però, non può essere eletto, perché sarà nominato dai capi di Stato e di governo. Si straparla di maggioranze parlamentari e probabili accordi di grande coalizione, come se esistesse un governo europeo, che non esiste. Non c’era modo più efficace per dimostrare che abbiamo in tasca una moneta comune (e neanche tutti), ma non abbiamo in testa un’Europa comune. Non solo si dovrebbe votare lo stesso giorno, con le stesse regole, ma si dovrebbe potere votare i candidati al seggio di parlamentare distinguendoli per programmi, idee e coerenza, non per nazionalità. I governanti europei sono tutti figli dei sistemi elettorali nazionali, naturalmente, ma il non essere stati capaci neanche di pensare a questa opportunità, a questa necessità, li distingue come inesistente classe dirigente continentale. Anzi, l’opposto: andare a votare in questo caos significa consolidare il Parlamento europeo come arena di vaniloquio. Come una specie di pianeta estraneo alla storia e alle sorti degli europei, dove vengono eletti soggetti di cui ci si dimentica la mattina dopo averli eletti. Ammesso che ci se ne sia ricordati la mattina prima.

In queste condizioni le elezioni europee sono solo un ozioso referendum sulle classi dirigenti nazionali. Referendum che i governanti perderanno pressoché ovunque. Lo perderanno, alla grande, in Italia. Perché quando conteremo i voti, lunedì, ci si accorgerà che l’unico governo possibile è quello del Nazareno. Che, però, non è al governo.

Quando la storia racconterà questi anni si chiederà come si sia potuto essere così stupidi. Come il continente delle democrazie abbia potuto pensare di violare impunemente il principio che lega l’essere tassati all’essere rappresentati, generando una pulsione primordiale e irragionevole: non volendo essere tassati ci si fa rappresentare dagli esaltati. E non si dica che sarà colpa degli elettori, perché la responsabilità di questo indigeribile pasticcio ricade interamente su mondi politici parolai e inadeguati. Incapaci di comprendere la storia che stanno abitando, non essendo in grado di viverla.

Pubblicato da Libero

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