Ancora è vivo, nel mondo politico, l’eco dei festeggiamenti e la fondata gioia per l’ascesa al Quirinale di Carlo Azelio Ciampi. Tanta contentezza non deve essere guastata. Detto questo, però, qualche annotazione è utile per cercare di comprendere quel che potrà accadere.
Il ruolo del Presidente della Repubblica è sempre stato delicato, specie in considerazione del bisogno di mantenere l’equilibrio fra i diversi poteri democratici. Non mancarono dubbi sull’operato di Gronchi, così come non mancarono traumi a proposito di quello di Segni. Ma un punto di svolta fu Sandro Pertini. Si veniva dalle dimissioni di Giovanni Leone, al termine di una storia di scandali, indagini e ricatti che merita ancora di essere riletta e compresa, ed il prestigio del colle più alto era caduto decisamente in basso. Pertini, il socialista non allineato, l’uomo della resistenza, seppe, come si dice, rivolgersi al popolo. Opera meritoria (chi non ricorda l’intervento televisivo dopo il terremoto in Irpinia, e nessuno ha dimenticato la meno fortunata veglia sul pozzo artesiano che, a Vermicino, aveva inghiottito Alfredino Rampi), ma che, certo, scantonava dalle tradizionali funzioni quirinalizie.
Successe Francesco Cossiga, che si conquistò il titolo di “picconatore”. L’allora presidente, circa alla metà del settennato, fu colto da un irrefrenabile gusto delle dichiarazioni, che vennero orrendamente definite esternazioni. A parte le questioni estetiche, Cossiga seppe mantenersi democristiano massacrando ai fianchi un mondo politico che pareva non volersi accorgere delle conseguenze del crollo del comunismo internazionale. Le sue dimissioni furono collettivamente accolte come una liberazione, ma non ci si liberò del fatto che il Presidente della Repubblica era divenuto un soggetto politico attivo e direttamente impegnato nella battaglia.
Più travagliata fu l’elezione di Oscar Luigi Scalfaro, che non ebbe (come Cossiga e Ciampi) il riconoscimento al primo scrutinio. Ma la storia consegnò al retore piemontese un ruolo molto particolare: mantenere l’impegno politico esplicito e diretto anche dopo la fine del partito politico di cui era esponete e figlio. Scalfaro sopravvisse alla Democrazia Cristiana perpetuandone la rappresentanza e questo ha portato, sul piano istituzionale, a comportamenti che hanno sollecitato riflessioni circa il rispetto del dettato costituzionale.
Carlo Azelio Ciampi arriva al Quirinale dopo che la storia e questi tre predecessori vi hanno lasciato il segno e l’impronta. Vi arriva, però, al contrario dei tre predecessori, senza mai avere avuto un partito politico, senza mai, nonostante i prestigiosi incarichi governativi (per non parlare della lunga militanza alla Banca d’Italia), avere svolto un ruolo attivo nella battaglia politica. Ma, ed è questo il punto su cui deve soffermarsi l’attenzione, non è il passato del Presidente a prevalere, bensì il passato della Presidenza. Ed è per questo che tutti gli italiani possono vedere il loro Presidente tutt’altro che silente e notarile.
Il mescolarsi dei due passati dà luogo ad una situazione singolare. Il Presidente della Repubblica si comporta, talora, come se fosse il capo di un esecutivo così detto tecnico; compie azioni di governo con gli indirizzi, le dichiarzioni, le sollecitazioni ed anche con i colloqui riservati. Succede, insomma, che nell’Italia che non vara le riforme istituzionali abbiamo già un Capo dello Stato che agisce con riferimento ad una Repubblica presidenziale che non c’è. La cosa non suscita proteste e reazioni perché la Repubblica parlamentare che c’è non funziona, e pone un Presidente del Consiglio senza maggioranza al cospetto di un Presidente della Repubblica che, benché non eletto dal popolo, ha una vasta maggioranza.
Ad oggi continuano i festeggiamenti, adesso arrivano gli ombrelloni ed il mare, poi l’equilibrio e la saggezza di Ciampi terranno insieme i pezzi del sistema, ma, prima o dopo, cominceranno i mal di pancia. I naviganti ne siano consapevoli.