Un breve, ma succoso, scambio epistolare fra tre persone di sinistra (Vittorio Foa, Miriam Mafai ed Alfredo Reichlin) aiuta davvero molto a capire quello che loro chiamano “il silenzio dei comunisti” (Einaudi), e che a me pare la tragedia di una sinistra che ha sbagliato quasi tutto.
A cominciare dal credere che solo chi è stato comunista, o ha condiviso la storia della sinistra di classe, può oggi permettersi di parlare degli errori e della pericolosità dei comunisti.
Scrive Foa. “Sono convinto che se i comunisti non sono arrivati al governo prima della svolta di Occhetto dipende dal fatto che si è pensato che se essi avessero preso il governo non l’avrebbero mollato con metodi democratici. Conoscete qualche esperienza di governo comunista che sia caduto con un voto popolare? Nel pensiero di Berlinguer sulla differenza non vi sta forse, con l’affermazione del valore etico, anche un vuoto di democrazia?”. Pensate a cosa si direbbe se questa tesi, del resto ovvia, fosse esposta da altri. E non è certo esaustiva la risposta di Reichlin: ” ? fu un errore pensare di far leva sulla ?questione morale’ al fine di evitare la dura fatica di aggiornare la nostra analisi su una Italia che intanto si modernizzava e si integrava nel processo di globalizzazione. Oggi mi è più chiaro che il prezzo pagato è stato alto. Non solo per l’isolamento politico in cui ci cacciammo ma per il colpo dato a tutta una grande cultura politica, quella che aveva fatto la grandezza del comunismo italiano. E’ da quel momento che comincia a dilagare anche nelle nostre fila una cultura diversa, di tipo radicale, confusamente movimentista, alla ricerca di nuovi valori e di ?nuovi inizi’, oscillante continuamente tra moralismo e giochi politici di bassa lega, attenta non alla società ma all’opinione pubblica, in pratica all’opinione dei media”. Parole, grosse, ma sempre parole, che non rispondono affatto al rilievo di Foa.
Ha ragione Mafai quando scrive: “Questo è un partito che nel corso degli ultimi 10-12 anni ha cambiato nome, simbolo, segretario, statuto, sede; ha elaborato un certo numero di ?progetti’, si è dichiarato socialdemocratico, riformista, liberale senza tuttavia affrontare mai, fino in fondo, un esame del proprio passato”. Esatto, è quello che scriviamo da anni. E nell’esame del passato va inserito anche il fatto che mentre si esercitava il moralismo giustizialista sui partiti che hanno creato e garantito la sicurezza democratica in Italia, quel partito prendeva soldi sporchi di sangue da una potenza militare, da un sistema dittatoriale nemico dell’Italia.
E che dire quando la stessa Mafai scrive che parlare di Craxi “è ancora terreno minato”? Quando Reichlin riconosce l’errore de “l’assoluta incomprensione delle ragioni che spingevano Craxi sulla scena. ? (le) spinte di nuovi ceti (il) bisogno oggettivo di modernizzazione del paese”? E ancora Mafai: Craxi “era stato il primo nel ceto politico italiano a capire che il collettivismo come fondamentale punto di riferimento teorico e pratico di ogni evento sociale e politico era in forte declino ?”.
Insomma, a sentire coloro i quali furono comunisti essi stessi misero insieme un gran numero d’errori: fu un errore credere nel comunismo, fu un errore il frontismo, fu un errore l’opposizione al centro sinistra, fu un errore la questione morale, fu un errore non comprendere le ragioni dei socialisti ? errori che vanno dalla fondazione fino a ieri mattina. Poi, gli stessi, forti della loro tradizione, del loro impegno culturale, della loro tensione morale, del loro legame con il sociale, s’impancano a giudici degli errori altrui. Che ci furono, gli errori degli altri, eccome se ci furono, ma sono niente a confronto di quelli che oggi gli ex comunisti riconoscono. Ma possono dirlo loro, se lo dicono gli altri, se lo diciamo noi, allora siamo rei di cieca, bieca, ed antisorica avversione ai comunisti. Sono loro che rivendicano la storia gloriosa (ma dov’è tanta gloria, in mezzo a così tragici errori?) del comunismo italiano, ma poi siamo noi ad essere pazzi se parliamo degli errori e della pericolosità dei comunisti. Perché, oramai, è acqua passata.
Togliatti impostò una forte politica di non avversità fra quelle che venivano chiamate le masse comuniste e le masse cattoliche. La cosa aveva una sua ragionevolezza, e diede qualche frutto non secondario, anche positivo. Ma, adesso, siamo alla contaminazione del peggio: solo chi ha molto peccato sa riconoscere l’errore, e solo suo sarà, se non il regno dei cieli, almeno il primato della politica seria. Noi no, noi non abbiamo peccato abbastanza, non possiamo pentirci dell’esser nati. Noi, al contrario di loro, avremmo molto da dire e da fare. Ma a noi il silenzio viene imposto, non lo abbiamo mai scelto.