L’errore sta nel fatto che lo Stato si presenta, con i suoi ispettori, a chiedere il pizzo. Contro l’interesse dell’imprenditore, del lavoratore e della loro famiglia. L’orrore nel fatto che l’imprenditore, il marito e il padre ha chiuso la partita suicidandosi. Ma la sua impresa e la sua famiglia erano state uccise, a sangue freddo, da uno Stato esattore e violento. Sul lutto, quindi, deve prevalere l’indignazione. Su quel caso tragico deve prevalere la tragedia di un sistema iniquo e distruttore di ricchezza.
Forno elettrico, pizza al taglio e pane. Lavoro dalle cinque di mattina fino a tarda sera. Casalnuovo (Napoli) non è certo una metropoli, ma prima che le tasse lo spingessero verso la rovina quel signore (Eduardo De Falco, 43 anni) riusciva a far quadrare i conti e mantenere la famiglia, con tre figli. A schiantarlo sono stati gli ispettori del lavoro, che dietro il bancone hanno trovato sua moglie. Non assunta, eppure al lavoro. A supplicare che non fosse fatto il verbale, che non partisse una multa spropositata, erano in due: il marito e la moglie, il datore di lavoro e la lavoratrice. Una fotografia tremenda, che è bene ciascuno di noi conservi nella memoria: da una parte l’interesse di chi lavora e dall’altra quello di uno Stato che pretende.
Questo è il punto decisivo: se la regolarizzazione della lavoratrice fosse stata nel suo interesse, se avesse portato ricchezza alla loro famiglia (la medesima del datore di lavoro), lo avrebbero fatto senza bisogno di sollecitazioni e punizioni; non lo fecero perché quell’atto li avrebbe messi in regola con la legge, ma li avrebbe impoveriti. Avrebbero pagato un balzello sulla loro fatica, ma non ne avrebbero tratto benefici per sé e per i figli. Gli ispettori, però, hanno applicato la legge: duemila euro di multa da pagare subito, per non chiudere, e altri diecimila da dare poi. Non si deve prendersela con gli ispettori, ma con la legge. E si tratta di capire bene quel che qui ripetiamo da tempo: la guerra contro l’evasione fiscale e contributiva, in Italia, è in gran parte guerra contro i poveri.
Ciò giustifica l’evasione fiscale? Sento già l’obiezione ipocritamente perbenista, quasi sempre sulle labbra di chi non ha mai prodotto un centesimo di pil, ma vive agiatamente di spesa pubblica. Ciò giustifica l’incenerimento di norme intollerabili, che, come si dimostra, non difendono affatto il lavoratore, ma la pretesa esattrice dello Stato. Finché regolarizzare un lavoratore sarà un costo per il datore di lavoro e non sarà un guadagno per il prestatore d’opera, è evidente che o non si creano posti di lavoro o si deve andare avanti a colpi di ispettori e cartelle esattoriali (da quel piazzaiolo volevano i soldi che servono a pagare i suoi distruttori, non a garantire un futuro alla moglie). Si è ucciso. Ha fatto male. Ma con quella botta era fallito, avrebbe dovuto chiudere. Dopo di che ci trova con una famiglia sul lastrico, da dovere in qualche modo sostenere. E per farlo dobbiamo prendere soldi, sempre con quei sistemi intimidatori, da altri imprenditori e lavoratori. E’ questa l’Italia che vogliamo?
Qualche tempo prima aveva preso fuoco l’esercizio commerciale al fianco. Su iniziativa del suicida è stata fatta una colletta in quella strada, che non è la quinta di New York. Dopo il verbale micidiale altri si erano mobilitati per lui, dimostrando che la rete delle famiglie e della solidarietà funziona ancora. Ma distrugge l’umore e l’onore delle persone, specie se accusate di volere sfruttare la moglie, specie se ha dovuto vederla piangere ai piedi dei due burocrati, specie se restituire quei soldi avrebbe significato toglierli ai consumi dei figli. Questo meccanismo inquisitore e punitivo, quest’intromissione maniacale del fisco in ogni anfratto della vita, quest’esazione satanica che vuol ciucciare anche in piatti poveri, stanno distruggendo non solo il tessuto produttivo, ma anche quello civilmente connettivo.
E’ lo stesso Stato che vuole il 20% sui bonifici dall’estero (li vuole ancora, ha solo sospeso l’esecuzione) e ti condanna a produrre documentazione per non accatastare i pannelli solari. Per cui, da cittadino ligio ai doveri verso il fisco, sicché non per giustificare nulla che mi riguardi, dico: finché non sarà tagliata profondamente la spesa pubblica questo Stato non ha credibilità e onorabilità per andare a rovinare un pizzaiolo, chiedendo a lui di pagare il conto della viltà politica e dell’incapacità governativa. Tacere significa essere complici.
Pubblicato da Libero